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“Amen” l’inno alla vita di Massimo Recalcati a Narni Città Teatro

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di Alessia de Antoniis

Uno degli spettacoli scelti per il festival Narni Città Teatro dai direttori artistici Davide Sacco, Francesco Montanari e Ilaria Ceci, arriva dal Franco Parenti di Milano: l’applaudissimo Amen di Massimo Recalcati.

Diretto da Valter Malosti, con al leggio Federica Fracassi (madre), Marco Foschi (figlio) e Danilo Nigrelli (soldato), Amen è il primo testo teatrale firmato dallo psicanalista Massimo Recalcati. Scritto in pieno lockdown, Amen è un pendolo che oscilla tra la vita e la morte. Un inno alla resistenza: quella di Enne 2, da Uomini e no di Vittorini, quella di Aldo Moro, quella di Cristo. Quella dello stesso Recalcati che, nato settimino, riceve nello stesso momento il battesimo e l’estrema unzione. Due riti iniziatori in uno: quello alla vita e quello alla vita dopo la morte.

Nei mesi difficili della clausura tra le mura domestiche, Recalcati recupera la chiusura nella scatola di vetro dell’incubatrice, mentre lascia che il tempo sia scandito dal battito di un cuore che non si arrende. Al freddo, come il sergente che marcia nella neve, dal romanzo di Mario Rigoni Stern. Isolato, privato del contatto fisico. “Nudo uscii dal grembo di mia madre”.

La madre è Francesca Fracassi, che si staglia al centro del palcoscenico buio, affidando solo al suono della voce il racconto di una donna che sembra abbandonata dal suo dio. Una sorta di madre coraggio, che resiste tuttavia alle parole ciniche che le offrono in un momento di disperazione: “Lei è così giovane, avrà modo di avere altre gravidanze dopo questa. Non si preoccupi. Avrà tutto il tempo. Sarà molto difficile che il bambino possa sopravvivere. È nato senza difese. Non ha forza. È nato troppo presto”. Una madre che non si arrende: “Il battito del tuo cuore nudo, in quel silenzio artificiale nelle viscere del mio corpo.  Confuso nel mio sangue, ti avevo con me e ti aspettavo”

Amen è un concerto per voci ed elettronica, accompagnato dalla chitarra elettrica di Paolo Spaccamonti e dai suoni elettronici di Gup Alcaro che rendono, nel buio della scena, le scenografie mancanti. Suoni cupi, tetri, angosciosi, opprimenti, insistenti. Sono loro i fondali che un simile testo faticherebbe ad avere.

Amen. Così sia. Il senso dell’arrendevolezza cattolica che stride con il soldato di Rigoni Stern, con il prematuro Recalcati che lotta nell’incubatrice per sopravvivere. “I disastri vanno stroncati sul nascere, invece io ero un disastro che non si faceva stroncare. Il mio respiro continuava a seguire il battito del cuore”. “Tutti aspettavano la mia morte, ma la battaglia infuriava ancora nella scatola di vetro”. Dov’è il così sia nelle parole del figlio? “Un passo dietro l’altro, un passo dietro l’altro. Ogni passo non doveva essere l’ultimo passo”. Dov’è il così sia nelle parole del soldato?

Un ciclo continuo di nascite e morti in una vita che è eterna. Un amen dopo l’altro, nei secoli dei secoli. Amen. Amen, dalla radice semitica ‘mn, vuol dire esser sicuro, certo. Amen: “In verità, in verità (amen, amen) vi dico”. Non c’è chiusura, non c’è ineluttabilità. Esattamente come nel testo di Massimo Recalcati, dove Amen è tutto, tranne che “e così sia”.

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