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I confidenti: amore e arte sotto la cappa di un regime

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di Rock Reynolds

Che il governo filosovietico della Germania Orientale, come quelli di tutti i cosiddetti stati satellite, non amasse particolarmente la dissidenza e si prodigasse per soffocare ogni tentativo di espressione del libero pensiero è cosa assodata. I metodi utilizzati per spezzare la devianza politica erano i più disparati e prevedevano interventi di vera e propria soppressione fisica così come approcci più sottili. Dopo il crollo del gigante sovietico, la voglia di dare voce a verità troppo a lungo soffocate ha prodotto una pletora di opere in tutte le forme d’arte, facendo ancor più di Berlino una delle capitali internazionali della creatività. Film di notevole successo commerciale come il pluripremiato La vita degli altri hanno raccontato la violenza privata di un apparato ossessionato dall’idea del controllo e perennemente incline a un morboso spionaggio individuale e collettivo.

Charlotte Gneuss, autrice del romanzo I confidenti (Iperborea, traduzione di Silvia Albesano, pagg 221, euro 17), non era ancora nata al momento della caduta del muro. Classe 1992, la Gneuss ci regala una storia non convenzionale, scegliendo di raccontare le storture del regime filosovietico attraverso la vicenda di un amore normalissimo per quanto impossibile tra la sedicenne Karin, una ragazza come tante altre, e Paul, il suo fidanzato dagli slanci libertari che parte per una presunta gita in Cecoslovacchia, senza fare più ritorno. Evidentemente, si tratta di una fuga più che di un semplice viaggio e a testimoniarlo sono le attenzioni inusitate di cui Karin e la sua famiglia vengono fatte oggetto da un viscido agente della Stasi, la famigerata polizia politica.

Narrato con una voce molto personale e vagamente allitterata, I confidenti si eleva decisamente sopra la media delle storie aventi come scenario la Germania Orientale e la sua atmosfera opprimente, riuscendo a miscelare con garbo le difficoltà individuali dell’adolescenza e di una famiglia che sta per disgregarsi con il quadro complessivo di un paese lordato dai veleni della Guerra fredda.

Una prova davvero matura per una scrittrice che promette di far parlare di sé anche in futuro, come testimoniano le risposte ad alcune domande che le abbiamo posto.

Considerato che è nata tre anni dopo la caduta del muro, come mai ha scelto di ambientare il suo romanzo nella Germania Orientale?

In tutta onestà, credo che la scelta di un’opera d’arte non sia consapevole. È il testo che solitamente ci sceglie. Qualsiasi cosa tu voglia raccontare, vive dentro di te. Non importa quando sei nato. La cosa importante è ciò che conta per te, ciò che non vuole saperne di uscire dalla tua testa, ciò che ti alimenta. Sono questi i cardini su cui si fonda l’arte narrativa. E, ovviamente, la letteratura attraversa tempo e spazio. La storia che racconto nel mio libro non sarebbe stato possibile scriverla nel 1976. A volte, devono passare decenni prima che si possa raccontare una storia.

Che impatto hanno avuto su di lei le conversazioni sentite in famiglia da ragazzina?

Be’, tutta la mia famiglia viene dalla Repubblica Democratica Tedesca che, ovviamente, era spesso argomento di conversazione. Tuttavia, c’erano anche cose di cui non si parlava. Quelle cose, quei vuoti tra una frase e l’altra, sono ciò che io trovo più eccitante. Anzi, scrivo proprio per riempire quegli spazi. Per rispondere alla sua domanda: tanto, ho parlato tanto con i miei genitori.

Karen ha i sogni e le ansie dell’adolescenza. Quanto di lei è nel suo personaggio?

È una domanda che mi sento fare spesso senza che, però, io riesca a capirla del tutto. La mia personalità privata non ha nulla di letterario. Con la mia protagonista ho in comune ciò che posso avere in comune con un vicino o una zia: sono esseri umani. Abbiamo passioni, speranze, paure e desideri.

Come giudica l’ascesa dell’estrema destra in Germania, soprattutto nella parte orientale del paese, dove prima della caduta del mura vigeva un forte statalismo?

Be’, le recenti elezioni europee hanno evidenziato come lo spostamento a destra sia un fenomeno europeo: Francia, Olanda o Germania Orientale. Ovunque la gente ha votato a destra. Le ragioni sono le più svariate. Purtroppo, ci sono tanti xenofobi e razzisti. Ma ci sono pure certamente tanti che si sentono insicuri in un mondo globalizzato, che temono le crisi globali e che credono che i nazionalisti possano dar loro sicurezza e prosperità. Però, sono sempre stati proprio i nazionalisti a far scoppiare guerre e a creare distruzione. Se guardiamo alla Germania, è evidente che l’estrema destra è stata votata maggiormente all’Est che all’Ovest. Dipende sicuramente dal fatto che c’è stato un periodo, intorno al 1968, in cui nella Germania Occidentale ci si è occupati del crimini del nazionalsocialisti. Inoltre, la democratizzazione nella Germania Occidentale è stata accompagnata dal boom economico. Nella Germania dell’Est non c’è stato un 1968. La popolazione non ha elaborato il nazismo né il regime dittatoriale della DDR e la democratizzazione nella Germania Orientale è stata accompagnata da disoccupazione ed emigrazione di massa. Il che significa che molti nell’Est legano la libertà democratica all’incertezza e alla sensazione di essere guardati dall’alto in basso. C’è scarsa fiducia nelle istituzioni democratiche e i partiti dell’estrema destra ne approfittano, rappresentando i tedeschi dell’Est come vittime del sistema politico e se stessi come salvatori di chi si sente abbandonato. I nazionalisti si comportano ovunque come difensori dei poveri, ma, se si guarda ai loro manifesti politici, si capisce bene che non è vero. Il partito della destra tedesca non è minimamente interessato all’edilizia popolare, agli asili e alle scuole e nemmeno a un reddito minimo. Non fa altro che cercare qualcuno su cui scaricare la colpa, senza però assumersi la minima responsabilità, nel passato come nel presente.

Karin e altri personaggi del suo romanzo hanno idoli occidentali, specialmente innocue star del pop. Che sensazione prova ripensando a come quei ragazzi erano costretti a coltivare le loro passioni in segreto?

Be’, quegli idoli erano l’incarnazione stessa del capitalismo e del consumismo. Ma non era certo quello il problema. Il problema era che facevano ciò che volevano. La musica del periodo parla tanto di libertà e la libertà spaventa i regimi dittatoriali.

C’è qualcosa di autobiografico nel suo romanzo?

È una domanda che mi viene fatta spesso e credo che la faccenda riguardi la mia sfera intima. Il fatto è che un testo ha a che fare con la sua composizione linguistica, con l’arte della scrittura e non con la storia personale della famiglia dell’autore. Ovviamente, nel mio libro è andato tutto in quel modo anche se le cose erano completamente diverse.

A un certo punto, Rita legge un tema su Bertold Brecht in classe. La propaganda che impatto ha avuto sui ragazzi cresciuti sotto il regime?

Brecht è un grande autore, ma il regime lo ha chiaramente usato male. Credo addirittura che non si possa capire il teatro tedesco contemporaneo senza di lui. Brecht non era interessato a raccontare i tragici destini individuali sul palcoscenico, ma vedeva il palcoscenico come uno specchio della realtà. Lo scopo della sua opera era rappresentare l’ingiustizia economica. Creò una cosa chiamata “teatro epico” che cambiò il mondo del teatro tedesco e che continua a influenzarlo tuttora. Non è un caso che tutto ciò che nella DDR fu accolto come arte è marcito con la fine della DDR. Però, ci sono tante cose che possiamo imparare dalla DDR e dai suoi artisti. La storia della DDR non può essere ridotta a uno “stato ingiusto” ed è complessa: bene e male vanno mano nella mano.

La scelta della sua voce narrante è stata conscia o naturale?

Non è la mia voce. È la voce di Karin, la mia protagonista. Credo che ogni libro necessiti di una sua voce. E se, da autrice, riesci a trovarla, ti devi ritenere fortunata.

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