Che si tratti del mondo dello sport, dello spettacolo, dell’arte o di qualsiasi altro ambito è ormai sotto gli occhi di tutti, ammesso lo si riesca a vedere: viviamo in una società che crea e disfà idoli in continuazione. Di idoli, a guardarci attorno, sembra ne abbiamo davvero un disperato bisogno: li hanno i più piccoli, fin dalla più tenera età, i ragazzi e, ovviamente, anche gli adulti.
Storicamente parlando non si tratta di un fenomeno di certo nuovo: già ai suoi tempi, tanto per fare un banale esempio, pure Giovanna D’Arco veniva acclamata nell’intera Francia. Casi simili, nella storia antica, di certo non mancano. C’è però quantomeno una piccola differenza tra i grandi imperatori ed eroi del passato e le “stelle” del nostro tempo: rispetto ai primi la ricchezza dei secondi è merito proprio dei loro “seguaci”.
Già, se pure i reali erano considerati alla stregua di divinità, di certo non venivano vendute magliette con su la loro faccia. E di certo la loro ricchezza non dipendeva dagli introiti di tour i cui biglietti vengono venduti a centinaia di euro l’uno. Il capitalismo, insomma, sembra aver travisato anche il modo con cui si assume qualcuno a proprio idolo. Un aspetto, quest’ultimo, reso evidente dalle parole di una fan in fila per l’ultimo evento clou dello showbusiness tenutosi qui in Italia: parlo ovviamente del recente concerto mianese di Taylor Swift. “Ho speso più di 5mila euro per seguirla in giro per l’Europa” ha affermato una ragazzina, accampata in tenda tre giorni prima dell’apertura dei cancelli, a una giornalista che non nascondeva gli occhi sgranati.
Essere un fan costa, dunque, e può arrivare a costare davvero tanto. Prendendo in esempio il sopracitato concerto, circa 200 euro di solo biglietto. Ma spendere non basta: un vero fan deve necessariamente testimoniare che all’evento ci sia andato. Fortunatamente, in soccorso, arrivano i social. Cercando di non peccare di una sicuramente volgare superficialità, un aspetto mi colpisce in numerosi casi: la quantità di materiale postato.
Scattare una foto e tenerla come ricordo di certo non è la stessa cosa che farlo per pubblicarla online: nel primo caso si tratta di un qualcosa fatto per sé stessi, nel secondo per tutti gli altri. Il punto è perché in molti avvertano l’esigenza di documentarli così pedissequamente. Un comportamento che, paradossalmente, in taluni casi porta a guardare da uno schermo buona parte dell’evento che si ha di fronte. Ci si potrebbe chiedere, dunque, in che misura la felicità di assistere a un live del proprio artista preferito dipenda dal fatto in sé e in che grado dal dimostrarlo.
Strana cosa, dunque, il culto delle celebrità dei nostri giorni. Da un lato c’è la quasi intima necessità di assumere qualcosa o qualcuno a proprio idolo. Che si tratti di un calciatore o di una popstar è irrilevante: l’importante è scegliere la propria stella polare. Se la narrazione che vi ruota attorno è parzialmente romanzata è un’inezia, una bella storia è bella in quanto tale. Perché farlo o perché no? Domanda a cui mi sottraggo, anche per comodità, dal rispondere. Dall’altro, a corredo, la necessità di renderlo manifesto, quasi gridarlo. Aspetti resi possibili esclusivamente grazie all’intermediazione del denaro. Senza soldi non si cantano messe e, aggiungo personalmente, non si fanno santi.
Anche per avere un idolo, quantomeno se si tratta di quelli partoriti dalla società contemporanea, bisogna pagare. È questa la conclusione, disarmante, a cui mi sembra di giungere. L’ammirazione in sé, per quanto alle volte quasi smodata, compulsiva tanto da portare qualcuno a trascorrere svariate notti in tenda, non basta. Un male? Forse, quantomeno per i più romantici. Ma di certo qualcosa di comodo per i molti fan dello spendi e consuma. Basta mettere mano al portafogli e tac, ecco che arriva il riconoscimento di fan, da poter ostentare ai quattro venti. L’ennesimo prodigio della nostra fantastica società occidentale?
L'articolo Il costo di essere fan: quando la passione si fonde con il consumismo proviene da Globalist.it.