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L’intelligenza artificiale tra etica, filosofia e regolamentazione: sfide e riflessioni globali

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di Antonio Salvati

Iniziamo ad essere gradualmente tutti consapevoli, chi più chi meno, dei problemi e dei pericoli che l’incremento della potenza di calcolo dell’intelligenza artificiale (IA; in sigla AI, dall’inglese Artificial Intelligence) dei nostri giorni e di un prevedibile futuro, un incremento progressivo impressionante e del tutto fuori misura, crea alla vita umana sul pianeta. Ne derivano, innanzitutto, problemi di regolamentazione e di controllo che investono direttamente la questione politica planetaria. Pertanto, grosse questioni che ci riguardano assai da vicino.

Carlo Sini, già professore di Filosofia teoretica presso l’Università Statale di Milano, membro dell’Accademia dei Lincei, in un volume Intelligenza artificiale e altri scritti (Jaca Book 2024 pp. 192 € 18,00), ha scelto di dire la sua, per così dire dall’esterno, a coloro che alla IA lavorano e più in generale a coloro che siano interessati ad un contributo filosofico, per via delle molte ragioni che spingono a una riflessione approfondita e articolata, nella quale la filosofia, «una certa filosofia, è importante che dica qualcosa con doverosa umiltà, ma anche con misurata fermezza e molto coraggio».

Carlo Sini all’inizio smonta un equivoco terminologico. Ossia parla di intelligenza artificiale negando la possibilità che le macchine costruite dall’uomo possano essere dotate di intelligenza: «un automa non può avere intelligenza e non può apprendere nulla, può effettuare operazioni ma solo in quanto programmato da un’intelligenza umana». E aggiunge che non sarà una macchina dell’IA a risolverci il problema: «essa è parte del problema e nel contempo un contributo alla soluzione». La sua disponibilità «è una ricchezza della vita umana e perciò, come sempre, anche il suo problema, perché gli umani, come dicevano i Greci, sono animali terribili; ma a tratti, aggiungerei, anche sublimi».

Alla base delle questioni dell’IA ci sono i «dati», che poi sono dei «testi». In tal senso, siamo sempre nell’ambito delle conseguenze della tecnologica alfabetica, seppure potenziata al massimo grado oggi immaginabile. Qui gioca infatti – osserva Sini – la potenza del mondo, «che inerisce come tale a ogni strumento (fatto di mondo). La potenza del bastone come arma distruttiva è della stessa natura dell’arma atomica e viceversa». Naturalmente l’ordine quantitativo genera conseguenze qualitative enormi, ma non quelle che sognano i fanatici del web. I sistemi di IA come ChatGPT – spiega Cinzia Caporale – si basano fondamentalmente su tecniche di apprendimento automatico. Ciò significa «che le soluzioni che essi propongono ai problemi posti dagli utilizzatori derivano dalla ricombinazione statistica di ciò che essi trovano nel web. […] La struttura essenziale presuppone una “orizzontalità” per cui non vi è distinzione tra quanto viene prodotto nel web, sugli stessi argomenti, da persone esperte e da persone meno esperte o addirittura non esperte. Che ChatGPT produca risultati più accurati quando si tratta di argomenti molto specialistici e tecnici deriva dal fatto che di questi argomenti nel web “parlano” in misura preponderante persone qualificate, realmente esperte». In realtà, l’uso più diffuso di questi strumenti da parte degli utenti sono le questioni

generali che riguardano le loro vite, non per questioni scientifiche, ma valoriali, morali, psicologiche, pratiche, politiche ecc. Il tutto produce – ricorda Sini – «effetti di totale resa ai pregiudizi più diffusi e incontrollati, di cui la macchina non sa nulla ma potentissimamente diffonde». Sempre a partire da un equivoco terminologico: poiché per apprendere siamo soliti consultare anche il web, «la manipolazione statistica che la macchina porta avanti sui dati disponibili sul web viene interpretata come se la macchina fosse davvero in grado di imparare».

In questo senso non c’è nulla da temere dalle macchine se non il fatto che possiamo usarle male, «ma non in quanto la macchina diventi soggetto di un’azione che ci possa nuocere, ma perché noi non siamo all’altezza dell’operatività pratica. Quello che è preoccupante è quando gli scienziati credono alla possibilità di automi intelligenti, cedendo ad una superstizione naturalistica di cui parlava Husserl». Pertanto, liberati da questa superstizione cartesiana, noi siamo in grado di iniziare – spiega Sini – un nuovo rapporto con il mondo e con le macchine come un rapporto etico,«un rapporto per cui ogni conoscenza analitica e strumentale è una testimonianza del lavoro umano, perché senza la complessità del lavoro umano non c’è nulla. Pertanto sul piano di questa etica globale ancora da costruire la filosofia ha ancora un compito, se riesce a compierlo».

Sini condivide la preoccupazione di Eugenio Mazzarella, ossia il pericolo dell’essere entrati nel mondo dell’onlife: esso si mangia «la vita come tale. Un peccato di lesa vita», ovvero un vero e proprio shock antropologico». La posta in gioco, dice Mazzarella, è «la grande dismissione nel virtuale del reale […] con l’estensione dell’esserci umano in un nuovo ambiente: l’infosfera». Non a caso l’idea, annunciata da Mark Zuckerberg, «è quella di un ecosistema tecnologico che da semplice social network, il Facebook di oggi, si trasforma in un ambiente dove le persone possono vivere e lavorare in un complesso mondo di realtà virtuale connessa: non più e non solo foto e video da guardare, bensì mondi virtuali nei quali immergersi. Mondi non più solo osservati attraverso un monitor, piuttosto confini da valicare grazie a visori per realtà virtuale. Confini che una volta valicati porteranno l’utente, attraverso il suo avatar, a vivere la propria vita virtuale nella stessa maniera della vita reale: la fusione di offline e online, la realizzazione dell’onlife. Attraverso il nostro avatar faremo acquisti, andremo al teatro o a cena da amici, andremo al lavoro o in vacanza. Il tutto comodamente seduti a casa nostra e semplicemente indossando dei visori per realtà virtuale».

Sini ricorda la nostra generale dimenticanza o ignoranza del lavoro altrettanto o assai più meraviglioso e stupefacente dell’umano linguaggio, «capace di tradurre l’infinita e irriducibile complessità di una qualsiasi esperienza vivente in situazione concreta in una successione di suoni significativi, cioè di parole». Infine, occorre tenere a mente le mancanze che accompagnano la maggior parte dei discorsi sulla IA e sui suoi esiti futuri, certamente molto problematici per la vita personale e pubblica. Anzitutto l’immagine degli umani ricalcata su un modello ottocentesco e primo novecentesco: «come se quello fosse l’uomo in essenza». Quindi la dimenticanza o la totale ignoranza di ciò che ha prodotto l’umano attraverso la tecnologia. In particolare come l’uomo della IA sia il prodotto ultimo della grande rivoluzione alfabetica: «come cioè la “testualità”, andando dalle tavolette ai papiri, alle pergamene, alla stampa e finalmente alle scritture elettroniche, abbia modificato la cosiddetta natura umana, cioè la sua identità, la sua vita sociale e il suo stesso ambiente. L’IA è l’ultimo atto di questa tutto sommato recente invenzione, però dotata certamente di una potenza tanto promettente quanto terrificante». In generale, ignoriamo il rapporto dell’umano con la tecnologia, «considerata per lo più come una aggiunta alla natura biologica degli umani. Ma un umano senza tecnologia, senza l’uso di strumenti e soprattutto di quello strumento “regio” (diceva Aristotele) che sono i discorsi, è un puro non-senso. L’apparizione dell’umano e della sua specifica tecnologia sono un unicum, sono un tutt’uno e un avvento specifico e costante, alla luce del quale compaiono per differenza nozioni (“storiche”) come “animale”, “natura” ecc. Cioè oggetti di un sapere appunto umano che ricostruisce le sue origini cosiddette “naturali”, sempre alla luce delle tecnologie e dei discorsi dei quali dispone: l’umanità del neolitico in un modo, della classicità greca e romana in un altro e così via, sino alla grande rivoluzione scientifica seicentesca, di cui siamo tuttora un esito in cammino». È in questo quadro, che va interpretata la vicenda straordinaria della IA.

Del resto, l’IA non nasce da una volontà di dominio. Nasce da una volontà conoscitiva. La storia dell’Intelligenza Artificiale parte da molto lontano, da quando l’uomo – direbbe Stefano Quintarelli – «ha iniziato a pensare alle proprie azioni e a cercare di creare strumenti in grado di automatizzarle». Conseguentemente tutte le chiacchiere sulla IA, sono accompagnate non solo dal lavoro meraviglioso dei “tecnici”, da discorsi che alternano esiti promettenti e pericoli imminenti o sull’ “etica”. Più volte Papa Francesco ha richiamato «l’urgenza di orientare la concezione e l’utilizzo delle intelligenze artificiali in modo responsabile, perché siano al servizio dell’umanità», invitando a vigilare sulle nuove tecnologie dotate di potenzialità dirompenti e di effetti ambivalenti. Vigilare e operare affinché «non attecchisca una logica di violenza e di discriminazione nel produrre e nell’usare tali dispositivi, a spese dei più fragili e degli esclusi». La Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da Mons. Vicenzo Paglia, ha promosso nel 2020 un manifesto – la Rome Call for AI Ethics – con il quale si chiede a tutti gli stakeholder e alla società civile nel suo complesso di adottare principi etici, pedagogici e giuridici, nella realizzazione delle intelligenze artificiali. Il Papa ha parlato della necessità di passare dal pericolo di una algocrazia alla necessità di perseguire una algoretica. È proprio l’algoretica – la ricerca di un uso etico di tutte le fasi che portano a costruire algoritmi – a dire l’ultima parola – spiega Paglia – sulla ‘bontà’ di questa tecnologia. Si chiama “ethics by design”, cioè algoritmi che fin dalla fase di progettazione, sono pensati in maniera etica, per favorire conoscenze e scambio. La Call spinge fortemente in questa direzione e intercetta un’esigenza diffusa, come dimostra il fatto che in uattro anni è stata firmata da aziende, gruppi privati, università. Il 10 gennaio 2023 è stata firmata dagli esponenti dell’ebraismo e dell’Islam e ora la Pontificia Accademia lavora per allargare le firme anche alle altre grandi religioni mondiali. Il documento, già sottoscritto da player tecnologici internazionali quali Microsoft e IBM, da istituzioni come FAO, da innumerevoli atenei del mondo, da aziende e da privati, lo scorso aprile è stato sottoscritto anche da Cisco Systems Inc. un’importante azienda multinazionale statunitense specializzata nella fornitura di apparati di networking.

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