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Brasile, quando l’amore è un fiume

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di Rock Reynolds

Ci può capitare – se non per errore almeno per caso – di trovarci tra le mani un libro che non ci passerebbe mai per la testa di leggere. E, ancor più di rado, può succedere che su quel libro proviamo a investire qualche minuto, quasi all’avventura, sperando che possa prenderci e, perché no, travolgerci di passione.

È esattamente la sensazione che ho provato quando ho aperto la prima pagina de L’amore è un fiume (Fazi Editore, traduzione di Daniele Petruccioli, pagg 173, euro 18,50) della brasiliana Carla Madeira. L’amore è un fiume, per quanto valgano le categorie letterarie, probabilmente è considerato un romanzo erotico e mi sento di dire che tendenzialmente rifuggo quel tipo di lettura. Senza voler generalizzare – proprio perché il romanzo in questione ribalta del tutto gli stereotipi, dimostrando quanto le gabbie a poco servano e quanto sia il talento letterario la miglior forma di libertà da ogni pastoia – si è talmente esagerato, soprattutto in un certo periodo storico, nell’inseguire storie torride in cui i bollenti spiriti intorpidivano le capacità di raziocinio dei personaggi che si è finito per trasformarli in macchiette. Due sono i rischi insiti in quel tipo di romanzo (ma si potrebbe tranquillamente sostenere che ogni categoria imposta abbia le proprie inevitabili cadute di tono): l’estremizzazione svenevole della profondità dei sentimenti e quella materialistica della carnalità. Insomma, se l’autore non tiene saldamente in mano il timone, scarrocciare verso il romanzo d’amore più banale o, al contrario, sfumare nella pornografia è all’ordine del giorno. Non mi trovo particolarmente in sintonia con un diffuso adagio nel mondo letterario, ovvero che scrivere una scena di sesso sia l’impresa più difficile per qualsiasi scrittore – ogni scena può rappresentare un banco di prova arduo, non necessariamente quelle che tendenzialmente si svolgono in un letto – ma eccedere nei dettagli piccanti o caricare di eccessiva foga corporea un momento di intimità sono inciampi sempre dietro l’angolo. E i risultati sono per lo più imbarazzanti.

L’amore è un fiume in quel tipo di svarione non incappa mai, nemmeno nelle pagine in cui l’amore fisico viene rappresentato senza il minimo velo o imbarazzo.

Ribadendo fino allo sfinimento che detesto raccontare i libri e che non amo neppure descrivere per sommi capi la storia narrata da un libro, mi limiterò ad abbozzarne il percorso, evitando di mettere troppo sul piatto, lasciando che sia la ricchezza del lessico letterario dell’autrice a svelarne passo dopo passo l’intrigo e la bellezza.

Venâncio e Dalva si amano di un amore assoluto che cerca nell’altro il completamento del sé, come dovrebbe essere ogni bene profondo. Tra i due aleggia una sensazione paradisiaca che si sublima nel talamo, ma che trae linfa da ogni aspetto della quotidianità. A chiunque li veda insieme non può sfuggire la certezza di ciò che li lega, l’indissolubilità di tale vincolo. Eppure, una gelosia insana che affonda le radici nel rapporto incompiuto tra Venâncio e suo padre inquina la purezza dell’amore per Dalva e deflagra in tutta la sua violenza emotiva e fisica quando la ragazza annuncia di portare in grembo la loro creatura e, ancor più, quando la mette al mondo. La reazione inconsulta di Venâncio scaverà un abisso insondabile tra i due che nemmeno la sua frequentazione autopunitiva del bordello locale riuscirà a colmare. Ed è proprio lì che Venâncio incontra la nemesi del suo amore o, forse, della sua instabilità: Lucy, una prostituta dalla fisicità prorompente a cui nessun uomo sa resistere. Nessuno, tranne lo stesso Venâncio. Lucy, orgogliosa e indifferente alle chiacchiere di paese – che, con i suoi comportamenti sfrontati, ha abbondantemente messo a tacere più che nutrire – si impunterà e tenterà l’impossibile per dimostrare a se stessa e al mondo che nessuno può dirle di no.

Ho già detto fin troppo, mi rendo conto, ma il romanzo di Carla Madeira è ricco di spunti narrativi e regala pure qualche succulenta sorpresa. Basterebbe la prosa opulenta dell’autrice, ottimamente resa dalla traduzione, ma è lo sviluppo della trama stessa a rendere ancor più preziosa la sua opera, senza mai scadere nella banalità di certa narrativa erotica che strizza l’occhio alla pornografia.

Ne L’amore è un fiume ci sono, sì, amore e sesso, ma a dominare sono soprattutto le dinamiche familiari, le fragilità personali, lo stigma sociale e la forza dei sentimenti negati e di quelli celebrati. Come quando l’autrice dipinge un’intrigante, impietosa dicotomia che quasi sempre tiene banco nelle piccole comunità: quella tra puttane e beghine o, se preferite, fra bordello e canonica. «Puttane e beghine non vanno d’accordo, né sopra né setto. Secondo le puttane, a Dio basta un cuore pure, le altre parti del corpo si possono pure insudiciare. Secondo le beghine, invece, basta una parte del corpo insudiciata a contaminare il cuore. Una guerra santa, anche molto corporea.»

Dove abbia preso ispirazione Carla Madeira per regalarci immagini come questa è presto detto: la carnalità che tradizionalmente il Brasile proietta nell’immaginario internazionale, non solo maschile, è qualcosa di ineludibile, legato a doppia mandata alla forza della natura tropicale e al melange di colori e razze che lo contraddistingue. E poi c’è l’opera di monumenti letterari carioca come il romanziere Jorge Amado e l’autore di testi di canzoni Vinícious de Moraes.

Ne L’amore è un fiume compaiono pagine di grande lirismo e uno stile che, pure nella sua ricchezza lessicale e descrittiva, non va mai a detrimento della storia.

Ecco come Carla Madeira tratteggia il sorgere della gelosia, il sentimento forse più malsano di un uomo. «La pazzia nasce come un morbo, a poco a poco. Si propaga di cellula in cellula fino a invadere tutto, finché non rovina la vita a chi non trova modo di fermare i cattivi pensieri da cui nasce oscurità d’inferno. I pensieri sfrenati, amari, inconsistenti, costruiscono e prevedono disgrazie, nel loro modo crudele e distruttivo.»

Il finale è tutto da scoprire e godere.

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