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Taylor Swift scuote Trump: quando una popstar mette paura al tycoon

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Due mandati consecutivi di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti hanno lasciato non tanto una traccia indelebile nella storia delle istituzioni democratiche del paese quanto una ferita aperta nel ventre molle dell’America più retrograda, dando la stura alla peggior ondata di revanscismo suprematista bianco degli ultimi trent’anni.

L’Uomo Nero alla Casa Bianca è l’incubo che per decenni ha popolato ossessivamente il sonno dell’America segregazionista con forza forse ancor più devastante della peggior ossessione del maschio bianco, ovvero il terrore di essere stato cornificato con un mandingo dalla propria partner. Dunque, accettare che per otto anni in quella casa linda risiedesse una famiglia nerissima è stato un boccone indigesto per una notevole fetta di America che ha avuto tutto il tempo di covare propositi di vendetta, se non altro elettorale.

Se, al posto di Obama, gli americani avessero scelto il capo di una riottosa tribù pellerossa, i danni per il tran tran del paese e, soprattutto, per uno status quo da molti – se non tutti – ritenuto imperituro sarebbero stati decisamente minori perché, in fondo, i nativi non sono mai esistiti come autentiche entità umane e pure come espressione di una cultura diversa. I padri fondatori del paese, dai Padri Pellegrini in poi, li vedevano come un fastidioso ostacolo al pari degli animali selvatici. Non sono mai stati umani per l’immaginario orgoglioso dell’America evangelica, quella che si sente cuore pulsante del paese, rivendicandone la primigenia con aria di superiorità sbandierata persino ai concittadini bianchi che si dichiarino agnostici o di altra fede: i nativi non esistono perché sono stati spazzati sotto lo zerbino della storia. I neri, oggi una comunità ben più numerosa, per giunta concentrata principalmente nelle grandi aree urbane, invece, non sono stati portati via dal vento dell’oblio.

Sappiamo tutti che, subito dopo il faccia a faccia televisivo Trump-Harris, la mega star del pop Taylor Swift ha, con un post su Instagram, dato il suo endorsement – non che ci fossero molti dubbi in proposito – a Kamala Harris.

Quello che colpisce maggiormente, però, è l’incredibile capacità di persuasione della Swift, cantautrice inizialmente country poi autodeclassata a soubrette e, al tempo stesso, assurta al ruolo di idolo adolescenziale e, per finire, di icona internazionale del pop. I suoi fan deliranti la seguirebbero in capo al mondo e, subito dopo la pubblicazione del post di endorsement, hanno inondato di 340.000 richieste in 24 ore (contro le 30.000 della media giornaliera) il sito di registrazione vote.gov, usando uno speciale link creato e condiviso dalla loro eroina.

In politica, come nelle contese d’amore, pare valga tutto e per raggiungere un obiettivo si fa ricorso a qualsiasi mezzo, liceo o meno che sia. Certo, non si può fare a meno di guardare con mestizia a un paese che, alle soglie del momento cardine delle sue istituzioni democratiche, potrebbe vedere l’esito finale delle elezioni presidenziali deciso dai fan di una popstar divenuta cardine del mainstream stesso e in grado di condizionare la contesa.

La musica della Swift non mi appassiona per niente e non sono nemmeno entusiasta di certi suoi ammiccamenti pubblici. Negli anni, ho visto con grande sospetto i vari endorsement dati a questo o a quel candidato democratico da rockstar e attori artisticamente ben più autorevoli, spesso vere e proprie condanne iettatorie alla loro campagna. Pensare che il paese che si pone di fronte al mondo come faro di democrazia internazionale possa scegliere il proprio futuro presidente grazie ai voti spostati da una cantante che, in altri contesti, non potrebbe mai essere un maître à penser, mi rattrista. E dovrebbe rattristare molti.

Che vinca Donald Trump o che vinca Kamala Harris, ciò che rischia di modificarsi profondamente è la politica interna americana. Con almeno un’eccezione: non cambierà l’annosa questione della diffusione sproporzionata della armi da fuoco nel paese, considerato che la stessa Harris ha dichiarato che sia lei che il marito ne possiedono alcune per la propria autodifesa. La politica estera, invece, manterrà invariate certe prese di posizione: Medio Oriente ed Europa Orientale resteranno campi di battaglia su cui dispiegare per interposti interlocutori la potenza militare e le armi pesanti americane. Ben vengano i voti della Swift se serviranno a far fallire le aspirazioni di Trump a tornare alla Casa Bianca e, soprattutto, a mostrare al mondo di quali trovate estemporanee e colpi di teatro il tycoon sia capace. È questo il vero spauracchio.

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