di Marcello Cecconi
Quel 23 ottobre 1956, è scolpito nella memoria storica dell’Ungheria e dell’intera Europa. In Italia a rappresentare quei terribili giorni furono le immagini in bianco e nero della rivolta, poi soffocata nel sangue, che riuscì a trasmettere il corrispondente Rai, Vittorio Mangili. Da solo, con una telecamera a molla, riprese con coraggio quelle scene di Budapest che poi fecero il giro del mondo, fino a rappresentare il documento prova, davanti alle Nazioni Unite, dei diritti umani calpestati.
Quel giorno migliaia di cittadini ungheresi scesero nelle strade e piazze di Budapest chiedendo la libertà dal giogo sovietico. Chiedevano indipendenza, democrazia e il diritto di decidere del proprio destino senza l’ombra minacciosa dei carri armati di Mosca. E Mosca, nonostante che da qualche mese Krusciov avesse denunciato il culto della personalità di Stalin e i suoi crimini durante le “grandi purghe”, scelse di rispondere con violenza: il 4 novembre, la sanguinosa repressione dei carrarmati sovietici spensero le speranze di un Paese.
Nessuno intervenne ad appoggiare la rivolta colma di speranze degli ungheresi. L’emersione dalla Seconda Guerra di Stati Uniti e Urss come le due superpotenze che avrebbero gestito gli equilibri geopolitici del mondo, consigliò i primi a restare estranei mentre l’Onu, come sempre accade, fu bloccato dal veto sovietico. In Europa le potenze di allora, Inghilterra e Francia in compagnia di Israele, si stavano impegnando a invadere l’Egitto che, sotto la guida di Nasser, aveva nazionalizzato il Canale di Suez mettendo in pericolo gli interessi europei per i traffici marittimi nel canale.
Sessantasette anni dopo il contesto sembra essersi ribaltato. L’Ungheria di Viktor Orbán non si preoccupa più di un’invasione da Est e, al contrario di allora, è membro dell’Unione Europea e della Nato, simboli dell’integrazione occidentale, della democrazia liberale e del libero mercato. Ma nel paradosso del “mondo al contrario”, se l’Ungheria degli anni ’50 anelava a liberarsi dall’influenza russa, quella guidata oggi da Orbán va a braccetto con Putin, divertendosi a irritare Bruxelles e molti partner europei nel nome dell’estremismo di destra reazionario e omofobo sovranista. che vede uniti lo Zar e l’autocrate di Budapest.
Forse i manifestanti del ’56 si stanno rivoltando nelle tombe a vedere lo show dell’“amico Viktor” con il nuovo zar del Cremlino, nel suo teatrino diplomatico. Orbán, da anni ha scelto di interpretare il ruolo del “bad boy” d’Europa; il ribelle che non vuole lasciare la casa dei genitori. Tira la corda quanto basta per rimanere dentro la famiglia, ma mai quanto basta per venire sbattuto fuori. Un cerchiobottista che flirta con Mosca quando gli fa comodo e critica Bruxelles quando serve, ma continuando a godere dei vantaggi economici.
Ma se tutto questo invita al sarcasmo c’è da aggiungere l’altra scena che l’autocrate ungherese non aveva previsto. Il destino è burlone e lui che per mesi ha fatto di tutto per zittire Ilaria Salis incatenata nel tribunale di Budapest, deve ora vederla seduta tra i parlamentari europei a pochi metri di distanza. Una storia che supera ogni romanzo: il leone che voleva divorare l’avversario ora deve convivere con lei sotto gli occhi dell’Europa.
Se l’Ungheria del 1956 moriva per liberarsi dalla stretta di Mosca, quella di oggi sembra avvinghiarsi in una strana danza alla quale la debole Ue di questi tempi assiste colpevolmente. I giovani ungheresi che scesero in piazza nel 1956 non avrebbero mai immaginato che i loro figli e nipoti sarebbero stati invitati a flirtare con Mosca.
L'articolo Ungheria, 23 ottobre 1956 – 23 ottobre 2024: dai carri sovietici all’amicizia tra reazionari con Putin proviene da Globalist.it.