di Pierluigi Franco
In un’epoca in cui si parla tanto di Russia, troppo spesso senza conoscerne la storia e ciò che ne ha contraddistinto il complesso iter millenario tra la sfera europea e quella asiatica, si sente l’esigenza di capirne di più. Quella russa è infatti una storia che meriterebbe di essere compresa meglio anche nelle sue pieghe meno evidenti, in quegli aspetti che hanno contribuito a formare quello “spirito russo” che sembra sfuggire troppo spesso alla visione occidentale condizionandone, tra alti e bassi, anche le scelte politiche.
Proprio per capire meglio l’importante mondo russo è arrivato in libreria un volume che costituisce un prezioso strumento di conoscenza: “Russia. Storia di un impero eurasiatico” (Mondadori). A scriverlo è Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è anche coordinatore dell’Osservatorio di politica e relazioni internazionali (Opri), oltre a dirigere il Programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia centrale dell’Ispi.
Nel libro, attraverso un linguaggio fluido e accattivante, Ferrari porta dunque il lettore a scoprire un mondo conosciuto come emblema e epicentro della cultura slava, ma in realtà frutto di un crogiuolo di civiltà diverse che si sono incrociate nei secoli, da quella bizantina a quella mongola fino a tutte le diverse realtà etniche che hanno costituito l’immenso impero russo. Il volume riesce a far comprendere le varie fasi che hanno contribuito a formare la storia della Russia e, soprattutto, di quella autocrazia che sembra aver sempre contraddistinto il potere russo sia pure in forme diverse. Ferrari ci accompagna a scoprire la nascita della Russia partita dalla Rus’ di Kiev, il più antico Stato slavo orientale creato nella seconda metà del IX secolo dalle popolazioni scandinave, slave e ugro-finniche che scelsero Kiev come capitale. Un contesto strategico per gli scambi commerciali dell’epoca e per questo legato anche agli influssi europei. Un quadro che muta con l’invasione mongola arrivata nel 1223 nella Ru’s di Kiev imponendo quello che sarà conosciuto come il “giogo mongolo” con la sottomissione di tutti i dignitari locali. È questo il momento in cui si fa più sentire l’influsso degli uomini delle steppe asiatiche, almeno fino all’ascesa di Mosca da piccolo villaggio nella foresta a nuovo centro di traffici commerciali e a nuova capitale destinata a ottenere l’appellativo di “Terza Roma”.
Un passaggio fondamentale si ha nel XV secolo con Ivan III che riesce a quadruplicare il territorio russo coniando per sé l’appellativo di “zar”, prendendolo dal latino caesar, e adottando a simbolo l’aquila bicipite di eredità romana che ancora oggi campeggia nello stemma della Federazione russa. E rivendica simbolicamente l’eredità bizantina sposando Zoe, nipote dell’ultimo imperatore bizantino Costantino XI. Ma è anche con questo primo zar che si sviluppa quel concetto di autocrazia che sarà fatto proprio, anche come termine di uso epistolare, dal nipote Ivan IV meglio conosciuto come Ivan Groznyj o Ivan il Terribile. Un altro punto cardine della storia russa, indicato da Aldo Ferrari, è la seconda metà del XVII secolo quando la Russia si espande verso la steppa e sempre più a est. La Russia riesce a conquistare anche il territorio siberiano che si estende oltre gli Urali, facendo nascere di fatto quell’impero eurasiatico che caratterizzerà la sua storia futura <<divenendo un mondo diverso rispetto all’Europa>>. È la Russia dai molteplici aspetti che la portano ad avere contemporaneamente inevitabili rapporti con il mondo europeo, con quello bizantino e con i nomadi delle steppe che ha inglobato. Un quadro che configura alleanze e competizioni non solo in Europa, ma anche nel contesto eurasiatico dove è costretta a confrontarsi con gli imperi ottomano, persiano e cinese.
Una costante, messa bene in luce da Ferrari, è l’autocrazia, portata avanti dagli zar anche nella conquista di tutta la fascia settentrionale dell’Eurasia che va a completare il quadro dell’impero russo nel XIX secolo. La stessa tradizione autocratica russa caratterizza il futuro Stato sovietico, geloso custode dei confini dell’impero. Una “tradizione” che si perpetua con Josif Stalin, Nikita Chruščëv, Leonid Brežnev e con i brevi interregni di Jurij Andropov e Konstantin Černenko. Ma, se si considera il processo di accentramento di potere, è autocrazia anche quella di Michail Gorbačëv, che quei confini dell’impero riesce a perderli in pochi giorni nel 1991. Autocrazia che caratterizza il suo successore Boris El’cin, che fa bombardare il Parlamento accusato di non volersi sottomettere al suo potere. La secolare autocrazia russa è infine alla base anche dell’egemonia incontrastata di Vladimir Putin, al vertice di un sistema statalista dove il Presidente ha pieni poteri.
Nel libro di Ferrari non manca poi l’analisi della visione più attuale, con l’allontanamento della Russia dalla sfera europea e occidentale seguito alla guerra in Ucraina e il contemporaneo rafforzamento dei rapporti con il contesto asiatico, in primo luogo con la Cina e con l’India. Un ritorno all’antico, ma anche la conferma di quella che viene definita la “dottrina Primakov”, elaborata dall’ex ministro degli Esteri ed ex premier russo Evgenij Primakov negli ultimi anni del Novecento: guardare a nuovi alleati e nuovi mercati asiatici e nel sud del mondo per superare l’egemonia statunitense. È quello su cui punta la Russia attuale, forte della sua storica multietnicità e della sua anima eurasiatica, e di cui l’Europa sembra non accorgersi.
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