di Alessia de Antoniis
Ormai è tardi per dire “questo matrimonio non s’ha da fare”, perché ormai “Lo status di Teatro nazionale non è in discussione”. Lo ha detto la sindaca di Firenze, anche presidente del Teatro della Toscana, Sara Funaro dopo la riunione del Cda della Fondazione Teatro della Toscana.
Senza scomodare Molière, non era difficile prevedere che gli ideali di Giancarlo Mordini e Angelo Savelli, due uomini innamorati del teatro, per i quali il Rifredi è casa, avrebbero avuto qualche difficoltà a destreggiarsi nel mondo dei teatri pubblici, con il loro modus operandi e le loro interpretazioni, a tratti curiose, delle leggi sui finanziamenti. È facile ipotizzare che Savelli e Mordini abbiano accettato con gioia di entrare a far parte di una famiglia allargata come quella che vede insieme Il Teatro della Pergola, il Teatro di Rifredi ed Era di Pontedera per il triennio 22-24, in scadenza a dicembre. Triennio durante il quale, magari, hanno continuato a credere con passione a questo meraviglioso progetto. E, quando è stato chiesto loro, due uomini di teatro e non d’azienda pubblica, di restare anche per il triennio successivo, hanno accettato.
Nonostante i noti problemi del Cda della Fondazione Teatro della Toscana, la neosindaca di Firenze, che ha avocato a sé le deleghe in attesa della nomina del nuovo Cda, sostiene che il milione mancante per chiudere l’esercizio 2024 si trova. Nel frattempo studierà i bilanci e cercherà di imputare i costi alle singole strutture; procedura, quella dell’attribuzione dei costi per singola struttura, che dovrebbe essere normale.
Sicuramente c’è stata da parte del Rifredi l’idea che una fetta di quella grande torta, in origine di 9,5 milioni di euro, avrebbe fatto comodo anche a loro per finanziare spettacoli e sostenere le spese e non dover sempre far quadrare i conti con coperture risicate.
Ma dove finiscono i soldi del Teatro della Toscana?
Come scrive anche La Nazione: “Giorgetti tiene a precisare che “tra gli obblighi ministeriali di un teatro nazionale c’è quello di avere una scuola; rientra nel parametro qualitativo. La scuola di Favino costa 600mila euro l’anno, più 200mila euro di costi di struttura e affitto. Le altre scuole di teatro nazionali non costano mai meno di un milione di euro. La differenza è che le altre sono finanziate a parte, la nostra invece è dentro il bilancio“.
In Commissione controllo (si trova su YouTube) del 15 ottobre, è emerso che la consulenza di Accorsi si è conclusa il 31 dicembre 2023, e che “Favino prende sui 120 mila euro lordi l’anno, che corrisponde a 2 giornate lavorative nel cinema”. Ora, con tutto il rispetto per un attore di fama internazionale, pluripremiato, ma se apriamo la sua biografia su Wikipedia (a volte commette errori, ma fa comodo anche lei), a fronte di una vastissima produzione cinematografica e televisiva, ha all’attivo pochissimi (3) spettacoli teatrali. Davvero nel panorama teatrale italiano non c’erano attori con maggior esperienza in questo settore e meno costosi? Ma questa è solo una voce del bilancio.
I buoni propositi ci sono: in Commissione controllo si è posto l’obiettivo di affrontare il nuovo triennio con 7,5 milioni. Magari, tra i tagli, si potrebbe risparmiare quei 230 mila euro l’anno di interessi passivi per coprire gli apporti dei soci, che invece che a marzo arrivano a novembre e dicembre.
Quindi, tanto rumore per nulla? Perché, come dichiarato dalla sindaca Funaro, “Il Teatro di Rifredi aprirà la stagione 2024-2025 il 22 novembre con la prima nazionale di ‘Aka – Also Known as’ di Daniel J. Meyer, con la regia di Angelo Savelli e la produzione della Fondazione Teatro della Toscana”.
Resta il fatto che, chi si abbona, giunti a novembre, non avendo avuto notizie sull’apertura della stagione del Rifredi, potrebbe aver optato per un altro teatro. Per quanto trascurabile davanti ai milioni di euro di cui sopra, anche questo mancato guadagno andrebbe considerato in una valutazione.
Per fortuna dietro al Rifredi non c’è un pubblico, ma una comunità. Ma cosa c’è dietro al teatro della Toscana?
Una domanda è rimasta sospesa in Commissione, quella del consigliere Massimo Sabatini: “prendere in carico Pontedera e Rifredi, sono mosse che si sono rivelate strategicamente un successo o, come mi sembra di capire, hanno rappresentato degli aggravi?”
Questa domanda, rimasta senza risposta, ingombra come il famoso elefante nella stanza. La sensazione è che servano i fondi per la Pergola e, se va male, è colpa del Rifredi. Quindi, un teatro che da solo ha superato i cent’anni, entrato a far parte di un teatro nazionale rischia di chiudere?
“Rifredi è in perdita. È impossibile avere un teatro in pareggio”. Questa una frase riecheggiata in Commissione. Rifredi aveva costi per 700 mila euro coperti dai contributi. Oggi ne ha 800 mila perché far parte di un teatro nazionale impone obblighi che un teatro privato non ha. Per un tortuoso meccanismo, i teatri pubblici devono lavorare in perdita per avere le coperture ministeriali. Ma il Rifredi ha sempre lavorato anticipando costi che poi venivano ripianati dai finanziamenti, senza fare passi più lunghi della gamba.
Alla domanda del consigliere Sabatini, mi permetto di aggiungerne un’altra: se era già un teatro nazionale, e non aveva bisogno di altri teatri, quale motivazione ha spinto la Pergola a unirsi al Rifredi? Quale dirigente di un’azienda sana si accolla un’azienda in situazione debitoria e che non abbia nessuna potenzialità di crescita? Forse perché il Rifredi non è un peso, come si lascia intendere? O forse perché è in qualche modo funzionale alla capofila? Perché si è trattato il Rifredi come un malato che si tiene in casa per spirito di carità?
Chiunque conosca un po’ il mondo del teatro, sa che la stagione va organizzata in anticipo, ci sono accordi da prendere con le compagnie, c’è un programma da presentare a chi, tra giugno e settembre, compra gli abbonamenti. In questo caso, sospendere l’apertura di Era e Rifredi, crea un danno a questi ultimi, ma nessuno ne parla, tutti angosciati per le sorti del figlio prediletto, la Pergola.
Una mezza risposta arriva proprio in Commissione: l’obiettivo era raggiungere il primo cluster all’interno dei teatri nazionali, riconoscimento che consente di ottenere finanziamenti maggiori. (Con “cluster” ci si riferisce a un insieme di teatri che possono unirsi in reti o consorzi per presentare progetti comuni, consentendo loro di accedere a finanziamenti più consistenti e diversificati).
Acquisendo il Rifredi, il Teatro Nazionale avrebbe acquisito i contributi storici del Rifredi (I “contributi storici” sono finanziamenti pubblici destinati a teatri e istituzioni culturali che hanno una lunga tradizione e un’importante storia nel panorama teatrale nazionale) e in più avrebbe avuto le caratteristiche per accedere al primo cluster. In numeri: circa 600 mila euro in più da parte del Ministero. Ma non è andata come si sperava. Niente accesso al primo cluster e il contributo storico per il Rifredi che non viene concesso, per motivazioni che il Ministero pare non sia tenuto a rendere note. Quindi sono andati persi i 290 mila euro di contributi l’anno del Rifredi e i 600 mila del primo cluster. Mancano all’appello 1,8 milioni di euro, circa 900 mila causati proprio dal non riconoscimento dei contributi storici del Rifredi su base triennale.
Resto con una domanda: la responsabilità delle difficoltà nelle quali pare versi la Pergola, che ha inaugurato una bellissima stagione l’8 ottobre, sono del Rifredi? E un appunto: le dichiarazioni della sindaca Funaro sulle sorti del Rifredi sono rincuoranti, ma le buone intenzioni non sono valuta corrente. Trovati i fondi per chiudere il 2024, resta ancora il problema delle coperture finanziarie per l’anno successivo. Per tutti: figli e figliastri.
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