di Alessia de Antoniis
Il re è nudo. Non è Andersen, ma il re del capolavoro di Shakespeare in Aspettando Re Lear diretto da Alessandro Preziosi e scritto da Tommaso Mattei, in scena al teatro Quirino di Roma fino al 17 novembre.
Uno spettacolo che ha già alle spalle una felice tournée, ma che è stato a lungo applaudito da un pubblico che non era già più quello della prima romana.
Un re che si denuda, che si scuce pezzo pezzo come un pupazzo di pezza, che si spoglia della corona come della potestà paterna; lui, come gli altri personaggi, si tolgono ciò che appare, liberandosi di quei vestiti e orpelli che trasformano una persona in un personaggio. In scena come nella vita reale. (I costumi sono firmati da Città dell’arte/Fashion B.E.S.T.). Ma cosa accade a un re senza la sua corona? L’autorità viene solo dai simboli?
“He dies”. Con questa semplice indicazione Shakespeare chiude il Re Lear. “Muore”. Una parola. Un verbo, scarno, privo di spirito consolatorio. Poche lettere che racchiudono l’ineluttabilità della vita. Quella morte che è una livella per “Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo”. Non in Aspettando Re Lear” di Alessandro Preziosi. Si ferma prima. Prima della morte.
Ma un grande classico come il Re Lear di Shakespeare, resta tale anche se viene presa una parte per il tutto?
Un viaggio nella follia, nelle gabbie della mente di Lear e nelle meravigliose strutture di Pistoletto, oggetti fluidi che acquisiscono il loro ruolo in relazione alla scena e al personaggio. Un viaggio in un testo antico con mezzi moderni; rielaborato con rispetto senza tradirlo. Installazioni artistiche da museo per un testo liberato dalla polvere dei secoli; tinte fluo per colorare un light design magicamente spettrale per un’opera moderna dalle tinte pop e l’anima dark.
Due generazioni a confronto: Alessandro Preziosi (Lear) e Nando Paone (Gloucester) perfetti compagni di viaggio – Paone riesce ad essere magnetico anche mantenendo una recitazione più sottotono di quella di Preziosi – e i figli, Roberto Manzi (Kent), Valerio Ameli (Edgar/Edmund) e la bravissima Arianna Primavera (Cordelia/Matto). Abile nel vestire il duplice ruolo, Arianna sa mantenere in vita Cordelia anche quando si cala nei panni del Matto. Insieme creano un ensemble leggero nella tragedia, a tratti ironico, financo danzante. Un cast ridotto che rispecchia la volontà di Tommaso Mattei di concentrarsi solo su una delle tematiche dell’opera.
Se la grandezza di un classico sta nel suo essere eterno, nel saper raccontare l’oggi negli abiti di un tempo, entrare nella tragedia del Lear di Mattei, aspettandolo, rende il personaggio shakespeariano non solo fuori dal tempo, ma anche privo di risposte definitive, esattamente come quelle che la vita spesso non dà; un Lear che attende la tempesta. Che decide di morire prima di morire.
Sul palco Alessandro Preziosi, che ritrova sempre la sua arte migliore sulle tavole del palcoscenico. Preziosi si muove con leggiadria nei panni del vecchio re a cui il matto ricorda che Non puoi permetterti di diventare vecchio prima ancora di essere diventato adulto; un re che mette sulla stessa bilancia affetti e denari – Quale delle mie tre figlie mi amerà di più, avrà di più – come se l’amore fosse quantificabile; un re spogliato, fatto uomo, che teme che il mio cuore si frantumerà in mille schegge.
Suoni (di Giacomo Vezzani) e musica accompagnano tutta la pièce, a partire da un rumore di monete che cadono (che ricorda Money dei Pink Floyd) ad Again degli Archive (omaggio ai ritmi ipnotici di David Gilmour e alle atmosfere meditative dei Pink Floyd). E ancora piatti che esplodono in ritmi sincopati e imprevedibili, nello spirito del free jazz. Come jazz è Aspettando Re Lear: una rielaborazione del grande testo shakespeariano dove ogni nota esplora il nuovo e celebra l’inaspettato.
Una drammaturgia che si concentra su una tematica archetipica, quella del rapporto genitori/figli. Un lavoro riuscito che rende lo spettacolo al Quirino di Roma uno dei migliori ora in città.
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