di Antonio Salvati
Tra pochi giorni ricorreranno i quarant’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, una delle figure politiche più rilevanti della seconda metà del Novecento. Periodicamente il profilo di Berlinguer viene rievocato, soprattutto per ricordare la sua onestà, la sua denuncia della corruzione e del clientelismo, associandolo «questione morale». Tale richiamo quasi profetico del suo pensiero – esplicitato nella celebre intervista a Eugenio Scalfari del luglio 1981, in cui denunciò la corruzione dei partiti italiani – rischia tuttavia, di non rendere pienamente conto della sua intera vicenda politica.
L’ampia affluenza di visitatori ad una recente mostra a lui dedicata – esposta nei Padiglioni del Mattatoio di Roma con l’obiettivo di ripercorrerne la biografia attraverso materiali originali audiovisivi, sonori, fotografici e documenti d’archivio – attesta che il leader del Pci ha lasciato un ricordo indelebile nel «popolo comunista» e in milioni di italiani.
Vi è una parte della vita politica di Berlinguer meno nota ai più. Quella concernente alla sua azione politica in relazione alla dimensione internazionale. Berlinguer ha sempre nutrito una forte passione per la politica internazionale. Ciò era dovuto soprattutto per le sue esperienze politiche giovanili. Del resto, il fatto stesso di aderire ad una forza politica che si voleva internazionale ed internazionalista – con tutte le note contraddizioni – lo poneva attento al contesto sovranazionale. L’interesse di Berlinguer per la dimensione internazionale, sviluppatasi già prima di salire i massimi vertici del Pci, insieme alle sue capacità di muoversi nello scenario internazionale contribuirono alla sua nomina si segretario del partito nel 1972. Capacità, e particolare personalità, che aveva avuto pochi eguali nella classe dirigente dei comunisti e dei politici italiani della sua generazione.
Fin dai primi tempi della sua segreteria promosse un ruolo autonomo del partito. Nel 1973 rilanciava, in relazione alla distensione internazionale, la prospettiva del superamento dei blocchi, riconoscendo che la sua dissoluzione «non è cosa che possa decretarsi da un momento all’altro». Berlinguer rifletteva su quale senso comune ricercare, su quale altro mondo è possibile tra imperialismo americano e socialismo autoritario sovietico. Era convinto che le vicende politiche nazionali fossero strettamente intrecciate a quelle internazionali, auspicando «[…] una politica estera italiana che non sia più fattore di divisione […] ma sia invece fattore di unità, ed in cui si possono riconoscere […] le grandi correnti ideali del nostro Paese. È evidente, infatti, che nel quadro di una politica estera che abbia a proprio fondamento la difesa della nostra autonomia da interferenze e condizionamenti stranieri e in pari tempo la volontà di assicurare un attivo contributo dell’Italia alla distensione […] le stesse divergenze sulla questione del Patto atlantici […] possono essere viste in modo dinamico».
Sono note le sue riflessioni sui fatti del Cile, la ridefinizione del rapporto con l’Unione Sovietica, l’eurocomunismo. Berlinguer nel 1979 venne eletto eurodeputato. Oggi l’Unione Europea è completamente diversa da quella conosciuta da Enrico Berlinguer. Quella di Berlinguer era un’Unione che rappresentava solamente 10 nazioni nel cuore dell’Europa occidentale, oggi è composta da 27 membri e rappresenta più di 440 milioni di cittadini (la popolazione degli Stati Uniti supera di poco i 330 milioni). Per Berlinguer, un’Europa più forte, dagli Urali all’Atlantico, sarebbe stata motivo di stabilità politica e di pace. Avrebbe scardinato quel bipolarismo formato da USA e URSS. Sarebbe stato attore attivo e non più passivo in ambito internazionale. Di questo e altro, tratta l’interessante volume di Gavino Pala, Alle radici della dissoluzione. L’Europa perduta di Enrico Berlinguer (Il Pellegrino 2024, pp. 240, € 16,00). Berlinguer comprese che se il Vecchio Continente non avesse trovato nuove forme di relazione tra l’allora Unione Sovietica e i Paesi del Patto Atlantico, il risultato sarebbe stato una lenta e inesorabile dissoluzione. Pertanto, Berlinguer intuì che il perno centrale non poteva che essere la pace e lo sviluppo dei Paesi più poveri. Ne abbiamo parlato l’autore del libro.
C’è un cambiamento nella politica del PCI con Berlinguer?
Berlinguer diventa segretario del PCI nel 1972, durante il XIII congresso del Partito. Fin da subito provò a cambiare la linea del partito partendo da una domanda: come si potevano portare i Partiti Comunisti, in Italia ma direi in Europa occidentale, a concorrere alla guida dei rispettivi paesi? Bisognava essere percepiti in maniera completamente diversa da come erano stati percepiti fino a quel momento. Quando nel 1956 i carrarmati sovietici fermarono la rivoluzione ungherese, il PCI si schierò ufficialmente al fianco dei sovietici. Bisognava cambiare linea. Durante la sua segreteria quindi lavorò su due fronti: da una parte il progressivo allontanamento dalla sfera di influenza dell’Unione Sovietica, con la realizzazione di un comunismo che potesse essere alternativa di governo nei paesi occidentali, dall’altra il pieno riconoscimento delle istituzioni internazionali dove era presente l’Italia, prima fa tutte la Nato (superando il vecchio slogan fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia) e la Comunità Economica Europe.
Qual era il sogno di Berlinguer?
Sicuramente quello di portare il suo partito alla guida del paese. Ma non solo. Erano gli anni settanta, si sentiva ancora forte la divisione del mondo in sfere di influenza, la Guerra Fredda ed il rischio di un conflitto atomico erano macigni sulla vita di tutti. E poi c’erano i paesi del terzo mondo, africani e sud americani in particolare, che il PCI scopriva proprio in quegli anni. Paese poveri e marginalizzati dal bipolarismo USA-URSS. Che cosa poteva fare l’Europa davanti a questi problemi? Ed è proprio all’interno delle istituzioni europee che Berlinguer, e tutto il partito Comunista, lavora incessantemente. L’Europa poteva contribuire alla distensione tra le super potenze. Certo, secondo Berlinguer c’era tanto lavoro da fare. Per fare un esempio, il PCI fu uno dei pochi partiti che fin da subito lavorò per l’elezione diretta dei parlamentari europei (la prima elezione fu nel 1979, prima i parlamentari venivano votati dai parlamenti nazionali). Berlinguer voleva un’Europa pacifica e pacificatrice che potesse contribuire alla distensione tra i due blocchi. Ma non solo, per Berlinguer l’Europa non si poteva fermare al muro di Berlino, ma bisognava pensare ad un’Europa più grande, che coinvolgesse anche i partiti del patto di Varsavia.
Il ritorno nel PCI di una figura importante per l’Europa come Spinelli è stato il segno di un profondo cambiamento del partito nei confronti dell’Europa?
Altiero Spinelli era stato cacciato dal Partito Comunista nel 1937. Fuori dal PCI continuò la sua carriera politica che lo portò, tra il 1970 e il 1976, a ricoprire ruoli importanti nella Commissione europea. Per tutta la vita lavorò alla creazione degli Stati Uniti d’Europa, una vera federazione di Stati simile agli Stati Uniti d’America, con una vera e propria politica europea comune. Alla fine degli anni ’70 si registra il suo ritorno all’interno del PCI. Il suo ritorno, come spiegava spesso, era dovuto ad un motivo molto semplice: non era lui che aveva abbracciato i valori europei del PCI, ma era il partito ad essersi avvicinato alla sua visione europea. Questo, secondo me, spiega molto bene il cammino fatto dal PCI verso le istituzioni europee durante la segreteria Berlinguer.
Nel 1984 Berlinguer muore…
Il 7 giugno del 1984, mentre parla ad un comizio a Padova, Berlinguer si sente male. Era stato colpito da un ictus. Morirà l’11 giugno, pochi giorni prima delle elezioni europee che vennero definite storiche, per la prima volta il PCI superò, in una tornata elettorale nazionale, la Democrazia Cristiana. Il mondo stava cambiando. Pochi anni dopo, con la caduta del muro di Berlino, si iniziava a dissolvere anche il comunismo e nel giro di poco finirà anche l’Unione Sovietica. Il 12 novembre del 1989 il segretario del PCI, Achille Occhetto, aveva annunciato, nella sezione del partito alla Bolognina (quartiere di Bologna), il percorso che avrebbe portato al superamento del partito comunista in Italia e alla nascita del Partito Democratico della Sinistra. A livello europeo la nuova formazione sarebbe entrata nella famiglia dei socialisti europei.
A distanza di 40’annni cosa è rimasto dell’Europa che sognava Berlinguer?
L’Europa è completamente cambiata. Lui lasciava un’Europa composta da appena 10 stati, oggi l’Unione Europea ha 27 membri con più di 400 milioni di cittadini. Se la paura di Berlinguer era quello di avere un’Europa succube delle super potenze, soprattutto gli USA, oggi l’Europa avrebbe la forza di essere un vero attore internazionale, ma così non è, anzi troppo spesso la vediamo ancora sotto la sfera di influenza degli USA. Manca, o per meglio dire è molto debole, una politica estera comune e su grandi temi internazionali troppo spesso le cancellerie d’Europa vanno autonomamente e divise. La guerra in Ucraina, lo abbiamo visto, ha sottolineato in maniera evidente come sono più importanti gli interessi dei singoli stati che quelli dell’Unione. C’è poi un altro dato da non trascurare, l’avanzata di molte formazioni nazionalistiche di estrema destra, spesso antisistema. Formazioni che si sono affermate in diversi paesi dell’Unione e che potrebbero essere determinanti nelle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento europeo di giugno. Queste formazioni fanno fronte comune ma nello specifico portano avanti interessi particolari. Il sogno di Berlinguer di un’Europa pacifica e pacificatrice si è dissolto.
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