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Paola Minaccioni e le donne forti di “Elena, la matta” e “Diamanti”

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di Alessia de Antoniis

Paola Minaccioni torna con due progetti intensi e profondi. L’11 dicembre è al Campania Teatro Festival con Elena, la Matta, al teatro Sannazaro di Napoli – drammaturgia Elisabetta Fiorito, regia Giancarlo Nicoletti, produzione Goldenart Production e Altrascena – che racconta la vera storia di Elena di Porto. Da giovedì 19 dicembre è al cinema con Diamanti di Ferzan Özpetek, prodotto da Greenboo Production di Marco Belardi in collaborazione con Vision Distribution e in co-produzione con Faros Film.

Due opere che esplorano l’anima femminile tra dramma, emancipazione e resistenza. “Entrambi parlano di donne straordinarie, di forza e resistenza; di donne che mostrano quanto sia importante essere fedeli a se stesse. Elena e Nina sono diverse, ma condividono la determinazione di vivere secondo i propri valori. Mi sento privilegiata a poter raccontare storie che mi emozionano e che considero necessarie. Mi piace spaziare tra generi e linguaggi, dal teatro al cinema, dalla commedia al dramma. Ogni progetto è un’occasione per crescere e scoprire nuove sfumature di me, come attrice e come persona. Ma nel teatro, come nel cinema, cerco sempre di raccontare storie che mi emozionano e che possano toccare il cuore del pubblico”.

Al Campania Teatro Festival, Paola porta in scena la storia di Elena Di Porto, “la matta di Piazza Giudia”, un omaggio a una donna rivoluzionaria, anticonformista, un’antifascista convinta, ma soprattutto una donna animata dal desiderio di indipendenza ed emancipazione.

Perché hai scelto di raccontare la sua storia?

È Elena che ha trovato me, più che io lei. Il testo è arrivato grazie a Elisabetta Fiorito, che ha drammatizzato la vera storia di Elena di Porto, partendo dal saggio di Gaetano Petraglia. Elena è stata una scoperta: è una donna straordinaria, nata povera, che ha vissuto con un coraggio impressionante. Qualcosa di lei ha risuonato in me. Mi sono sentita subito vicina a questa donna fuori dagli schemi, incompresa perché troppo avanti rispetto al suo tempo; che non si adattava ai ruoli imposti dalla società: era una stracciarola, una madre, una donna che lasciò il marito quando si rese conto che l’amore era finito. Una donna che lavorava per mantenere la famiglia e veniva giudicata. Una donna sola.

Interpretarla è stato un processo intenso: lei è stata considerata “matta” solo perché si ribellava a un sistema ingiusto e opprimente. Nel monologo emerge la sofferenza di tutte quelle donne che, come Elena, venivano rinchiuse nei manicomi perché non si conformavano. Raccontare la sua storia significa parlare di libertà, di coraggio e di resistenza. Elena avvertì il quartiere ebraico del rastrellamento nazista, ma non fu ascoltata perché “matta”. Fino all’ultimo, ha cercato di proteggere gli altri, immolandosi per salvare sua cognata e partendo con lei per Auschwitz. La sua è una vita straordinaria, fatta di ribellione e sacrificio. Ho scelto questa storia perché è la storia di una donna coraggiosa. Una poveraccia che nel 1940 si separa…

In un momento storico confuso, in cui si confonde anche “ebreo” e “israeliano”, la coraggiosa sei tu…

Lo spettacolo lo abbiamo chiamato Elena, la Matta, senza riferimenti ad Auschwitz o ebrei sulla locandina, perché avremmo tradito lo spettacolo. Questa è la storia di una donna ebrea, ma non è la storia della deportazione. È la storia di una donna che ha combattuto per la sua libertà già quando, a soli 15 anni, fu rinchiusa per la prima volta in manicomio. Elena è un esempio per chiunque voglia vivere secondo il proprio pensiero. Il contesto storico rende tutto più potente, ma è il coraggio di Elena che colpisce.

Mostriamo come le donne venivano oppresse: bastava essere ribelli o anticonformiste per essere etichettate come pazze e rinchiuse nei manicomi, luoghi pieni di donne sane. Mi sono avvicinata a Elena con il massimo rispetto. Mi considero uno strumento per raccontare la sua storia. Volevo che il pubblico sentisse la forza e la fragilità di una donna che emoziona, che vive e lotta per la sua libertà, un simbolo universale. Non è un monologo classico né un reading, ma uno spettacolo vivo, dove le musiche di Valerio Guaraldi si intrecciano con il testo per creare un’atmosfera unica. È una storia che va oltre il periodo storico: parla di identità, femminilità e coraggio.

Sei nel cast di Diamanti, un film con un cast prevalentemente femminile, dove “siamo come le formiche, sembra che non contiamo niente, ma tutte insieme…“. Che donna sei per Özpetek?

In Diamanti interpreto Nina, la capo sarta di una sartoria cinematografica negli anni ’70. Una donna forte, pratica, che ama il suo lavoro e accoglie chi le sta intorno. Mi sono preparata osservando le capo sarte in alcune grandi sartorie teatrali, per capire come gestiscono il lavoro e coordinano le persone. Nina è la regista della sartoria, ma anche la psicologa del gruppo, un punto di riferimento. Mi piace molto il suo essere forte ma non rigida, ironica; una donna che, nonostante le difficoltà, trova sempre il modo di affrontare la vita con serenità e passione. Interpreto una donna forte e non vittima: questo mi è piaciuto di Nina.

Con Özpetek dal 2005 con Cuore sacro, Mine vaganti, Magnifica presenza, Allacciate le cinture e ora Diamanti. È un regista che lascia libertà o controlla tutto?

I più grandi registi con cui ho lavorato sono quelli che lasciano la libertà. Ferzan ti dà libertà creativa, ma al tempo stesso guida le tue scelte in modo naturale; ti lascia libera di esplorare, capisce cosa gli stai proponendo; sviluppa le tue idee se gli servono e se non gli servono ti dirige da un’altra parte. È un lavoro sinergico, non impone niente: ti porta a capire, a fare quello che vuole lui facendoti credere di aver fatto quello che volevi tu. Questa è la magia di Ferzan.

Che rapporto hai con lui?

È un grande e negli anni mi ha regalato momenti irripetibili: è il regista che più mi ha dato fiducia e che ogni volta mi rimette in pista con una nuova sfida. Sono felice di averlo sia come amico che come regista di riferimento.

Diamanti è un film che parla di cinema…

Sì, parla di cinema perché stiamo realizzando i costumi per un film, ma parla dell’amore e della passione per il proprio lavoro. Una storia di emancipazione femminile forte raccontata con delicatezza. Un film che parla di resistenza, ma con ironia, leggerezza, e questa è la sua magia.

E lavorare con un cast quasi tutto al femminile?

Siamo state divinamente. Io venivo dall’esperienza del Miles Gloriosus di Plauto al teatro greco di Siracusa, dove eravamo 47 donne. Su un set è più complicato: meno spazio, siamo tutte attrici importanti, cambi di scena ogni giorno. Se non hai fiducia in te e in Ferzan potresti crollare. Sul set di Diamanti, nonostante fossimo tante donne, c’era un clima di collaborazione e rispetto. Penso che possiamo buttarci alle spalle l’immagine delle donne che litigano tra loro. Una volta le donne erano una contro l’altra per conquistarsi una posizione: che fosse per matrimonio, carriera, lavoro, dovevi avere un uomo. Oggi non è più così, ci possiamo godere la nostra amicizia, la nostra forza, perché noi andiamo avanti anche da sole. Rivalità e invidia portano solo sofferenza e non conducono a un vero successo. L’odio logora chi lo prova.

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