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Diminuiscono i lettori, ma aumentano le pubblicazioni

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di Margherita Degani

Gli inserti culturali sono pieni zeppi di pubblicità legate a nuove uscite di stampo letterario. Spesso, all’interno di noti programmi televisivi si può assistere alle intervista dedicate all’autrice e all’autore del momento. Sono in crescita eventi quali presentazioni, “dialoghi con lo scrittore”e occasioni promozionali spopolano in qualunque ambito, da quello accademico a quello amministrativo, passando attraverso varie forme di intrattenimento. Consideriamo, poi, quanto possano giovare alla causa le pagine Facebook ed Instagram, o gli altri mezzi dipendenti dal settore digitale e mediatico. Le case editrici stampano migliaia di libri ogni anno, in continuazione, senza fermarsi mai. Eppure, a dispetto di tutto questo, il numero dei libri venduti e dei lettori risulta essere in calo. Analizziamo velocemente alcuni dati.

Secondo i primi numeri di quest’anno, presentati dell’Associazione Italiana Editori in occasione del Salone del Libro di Torino, l’editoria è calata del 2,2% rispetto ai primi mesi del 2023, pur registrando una crescita del 15,1% se confrontata al 2019, anno preso come riferimento quanto alla condizione pre-covid.

Concediamo uno sguardo anche agli anni passati. Nomisma, basandosi sui dati raccolti dall’Istat, mostra che tra il 2012 ed il 2021  le case editrici italiane sono diminuite, passando da 5.491 a 4.623. Quanto alle librerie, il lasso temporale intercorso tra il 2015 e il 2019  è stato il peggiore, indicando notevoli flessioni negative nel settore. La produzione libraria, anche a fronte dei fatti citati, dal 2016 in poi è comunque cresciuta, con la sola eccezione del calo avvenuto nel corso del 2020; il 2021, ad esempio, ha registrato un incremento del 4,3% rispetto al già proficuo 2019. Se dobbiamo fare riferimento alle vendite, invece, l’AIE nel 2020 ha visto una crescita del 28% a causa della pandemia che, evidentemente, ha favorito l’acquisto di libri per colmare il proprio tempo libero. Interessante e di notevole importanza di fronte ad un dato che sembra tendenzialmente positivo, è la distribuzione di questi libri sul territorio. Infatti, la maggior parte di essi occupa gli scaffali dei così detti lettori forti, ovvero coloro che erano già lettori abituali, a differenza dei lettori deboli che ne acquistano sempre meno.

Un’altra diversità riguarda il divario tra Nord e Sud,mettendo in evidenza che le percentuali assolute di lettori sono più basse nel Meridione, così come sono più alti i numeri che ne indicano il calo. Per quanto riguarda il genere, la gran parte dei lettori forti è rappresentata dalle donne (60%) e quanti hanno dimostrato l’allontanamento più significativo dalla buona abitudine della lettura sono, purtroppo, proprio i giovani tra i 15-17 anni.

Tirando le somme, negli ultimi undici anni il numero di lettori italiani, è di fatto diminuito sensibilmente. Perché accade tutto questo?
Partiamo dal presupposto che quantità non è sinonimo di qualità. Pubblicare, soprattutto negli ultimi anni, è diventato sempre più semplice ed accessibile a chiunque; questo moltiplica la presenza di libri sul mercato, ma non li rende migliori. Al contrario. Sembra che si diano alle stampe circa 60 mila nuovi titoli l’anno, nonostante una grande quantità di questi sia poi destinata a non vendere più di qualche copia. Questo perverso meccanismo serve alle case editrici per sopravvivere, dal momento che è quanto previsto dal sistema vigente di distribuzione e di vendita; i libri migliori e di livello, che pure continuano ed esistere, restano perciò schiacciati dall’enorme ammontare di titoli collaterali che vengono inseriti nel mercato e, se non vendono abbastanza, sono tolti dagli scaffali dopo pochi mesi.

D’altra parte, eventi, festival ed occasioni pubblicitarie non bastano, perché quantità indiscriminata e produzione a ripetizione non si occupano realmente della crescita della lettura, nè della crescita di cultura. Anzi, sono l’ennesimo frutto del consumo, che ora giunge ad attaccare e corrodere anche quello che è sempre stato il simbolo di studio, di riflessione, di sviluppo del pensiero, di una pacata e proficua lentezza, dell’abilità introspettiva: il libro.

Questo prezioso oggetto richiederebbe attenzione, domanda gusto e amore per la lingua, esige cura nella scelta e nella sua esplorazione, nonché tempo per immaginare e viaggiare con la mente e viene invece investito dal vortice vorace della velocità e dalla stretta avvizzita del sistema mediatico che spolpa e consuma i significati di ogni cosa, rendendo tutto un vuoto oggetto da sottoporre alla legge di mercato. Allora qualcosa di inestimabile come il valore della conoscenza, della fantasia e della cultura viene pesato solo con numeri e denaro. Feticcio-ombra di sé stesso.

Infondo, cosa ci si poteva aspettare da una società che insegna ormai da anni che ogni produzione legata alla sfera del settore umanistico è inutile? Se tutto ciò che è studia humanitatis  – arte, filosofia, letteratura, storia e similiviene denigrato e se quello che solo può elevare culturalmente e spiritualmente l’uomo è continuamente sottoposto a detrazioni di ogni sorta, possiamo davvero stupirci che il numero dei lettori sia in calo, così come la qualità del settore editoriale?

Pier Paolo Pasolini recitava “leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura”. Insegnamo di nuovo a noi stessi ed ai nostri figli la potenza che si nasconde tra le pagine dei buoni libri; annusiamo e facciamo loro annusare la carta impolverata; sentiamo e facciamo sentire le copertine colorate tra le mani. Per ritornare ad essere prima di tutto delle identità e non dei semplici consumatori.

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