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Cartier-Bresson: in onda il documentario-intervista di uno dei più rivoluzionari fotografi del ‘900

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A vent’anni dalla morte di Henri Cartier-Bresson, avvenuta il 3 agosto 2004, il documentario-intervista girato nel 1964 potrà essere visto, lunedì 27 maggio alle 19.20 su Rai 5, per la serie ‘Dorian’.

È la fotografia in cui “si evoca” quella che interessa a Henri-Cartier-Bresson, perché “non è una fotografia in cui si prende, ma che prende noi, che ci afferra” racconta il grande fotografo a Romeo Martinez, storico della fotografia, in un eccezionale girato ritrovato dalle Teche Rai. Con la sua Leica, ha catturato momenti decisivi della storia del XX secolo, creando immagini iconiche che hanno rivoluzionato il mondo della fotografia.

‘Henri Cartier-Bresson e il mondo delle immagini’, con i testi di Giorgio Bocca e la regia di Nelo Risi, è un preziosissimo documento in cui l’uomo che ha rivoluzionato il mondo dell’immagine si concede – fatto più unico che raro – alle domande dell’intervistatore e alla macchina da presa. In questo ritratto di “un uomo in ombra che vuole restare in ombra per necessità e per gusto” Cartier-Bresson dice a Martinez: “Parliamo di quello che vuole, ma non di me”. Di spalle o dietro a una colonna che fa intravedere la faccia, l’ombroso e schivo fotografo normanno parla della sua visione del mondo della fotografia che è per lui “un mezzo per disegnare”, “che sta alla pittura come le impronte digitali a un ritratto”. È qualcosa “tra la pelle e la camicia”.

”È vero, è il contatto immediato, l’essere nella realtà, nella vita, quello che conta”, dice facendo riferimento a Robert Capa, che aveva conosciuto nel 1933. Con lui nel 1947 aveva fondato l’agenzia fotografica Magnum in cui si coniugano il coraggio di Capa e il gusto di Cartier-Bresson. Nei fotogrammi in bianco e nero ecco il laboratorio dove Cartier-Bresson stampava le sue fotografie e dove, pur detestando i tecnicismi, si intratteneva con gli stampatori. Eccezionali le immagini dei suoi balletti fotografici mentre scatta alzandosi sulle punte dei piedi, facendo delle leggere torsioni su se stesso e poi via con un passo di danza che sono, dice la voce narrante “la descrizione più efficace del personaggio”.

Mentre parla scorrono le immagini di Capa, del muro di Berlino, della morte di Gandhi, dei viaggi in Cina, le foto iconiche, due ritratti di Alberto Giacometti. “Occorre fiuto, sensibilità intuitiva e fortuna sostenuta da cultura e alla fine la realtà” per cui “bisogna galoppare alla stessa velocità degli avvenimenti” racconta. Con la fotografia si prova “un piacere geometrico” e fa il paragone con “un torero che prende la mira per la stoccata perfetta”.

Dal documentario-intervista emergono anche la visione dei ritratti che “non sono mai all’insaputa. Il ritratto è nella conversazione e osservazione”, il rifiuto di Cartier-Bresson per le foto shock che non hanno nulla a che vedere con “l’intensità che più ce n’è meglio è” e per l’uso del teleobiettivo che “è un trucco” e apre al tema di come la tecnica uccida l’arte.

Omaggio anche ai suoi maestri, ai predecessori come i fotografi Eugène Atget ed Erich Salomon, con riferimenti anche a Nadar, alla pittura, all’impressionismo e al regista Jean Renoir. “Devo molto a Jean Renoir, non capisco molto di regia, ma la sua umanità mi ha influenzato enormemente”. Il maestro che evoca, più che documentare, alla fine mostra la sua faccia e dice anche che la sua non è stata una “carriera, un mestiere, ma un piacere”.

Non a caso Henri Cartier-Bresson ha rivoluzionato la fotografia con il suo concetto di “momento decisivo”, catturando l’istante perfetto che racconta un’intera storia. La sua arte è una fusione di spontaneità e composizione rigorosa, dove ogni elemento è bilanciato con precisione. Il suo lavoro non si limitava a documentare la realtà, ma cercava di evocarne l’essenza, creando immagini che non solo rappresentano il mondo, ma lo interpretano. La sua avversione per il tecnicismo fine a se stesso e il suo amore per la semplicità hanno reso le sue fotografie senza tempo. La sua capacità di fondere il racconto giornalistico con l’arte pura ha lasciato un segno indelebile nella storia della fotografia.

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