di Antonio Salvati
Non può non suscitare interesse un libro sui libri e sulla lettura. Ne L’essenziale. Appunti di un lettore avventuroso (Solferino 2023, pp. 192, € 16,50), Giovanni Floris ci racconta, attraverso tratti autobiografici e in una forma colloquiale, la sua passione per i libri che hanno accompagnato costantemente la sua esistenza. Floris ammette di non essere “un lettore naturale”. Tuttavia, fin da giovane ha letto parecchio e con semplicità in questo volume descrive ciò che ha ricavato per la sua vita, assecondando il suo bisogno di leggere. Un bisogno che, magari misconosciuto, appartiene a tutti.
Floris utilizza un artifizio letterario: «Una notte ho sognato un demone che mangiava i libri di casa mia». E si chiede come un ipotetico demone sceglierebbe i titoli da aggredire? E quali sarebbe necessario salvare? Da qui parte un percorso cronologico di riscoperta di storie e autori che hanno accompagnato la sua vita, e che forse oggi possono permettere di capirla. Nello stesso tempo Floris ci porta a riflettere sul “perché” si legge. Una riflessione pertinente in un paese dove nel complesso si legge assai poco. E in un tempo, soprattutto in Italia, in cui non abbiamo più fiducia nello strumento culturale per la risoluzione dei problemi. Risoluzione che richiede studio, confronto tra idee. Lo vediamo nell’ambito politico. Scegliamo frequentemente delle scorciatoie per esentarci dallo sforzo dello studio per risolvere i problemi. Scegliendo una persona “forte” che ci libera la coscienza e dallo sforzo della lettura e dell’approfondimento. La politica non più come risoluzione dei problemi, ma affidandoci ad una persona, un leader politico, non necessariamente competente, che riteniamo più sveglio di noi. Il sapere ha un valore inesistente e questo si riverbera su tutte le nostre scelte. La politica è disgiunta dalla tecnica e serve solo a raccogliere consensi e lamentele. In altri termini, il disprezzo per la riflessione intellettuale. Per questo Floris cita Il futuro è aperto, un volume scritto da Popper con il grande etologo austriaco Konrad Lorenz: «Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte». Secondo Popper, la società aperta è quella in cui si vive meglio. Aperta alle differenze, alle idee nuove e impreviste e soprattutto alle diverse letture del mondo: «più idee abbiamo – spiega Floris – più problemi risolveremo, e più facile sarà relativizzare concezioni e visioni del mondo necessariamente imperfette. Unici da non tollerare: gli intolleranti. Ci fanno perdere tempo e ci mettono nei guai».
E siamo il paese dove la cultura non paga, dove inseguiamo performances economiche. In questo senso, in una situazione ideale aumentare le opportunità vuol dire migliorare le possibilità economiche, «ma vuol dire anche accrescere le conoscenze: dare al popolo (anche) più narrazioni, più idee, in una parola più cultura e più libri. Perché se cerchi di cambiare il tuo destino, ma combatti con la testa vuota, ti puoi trovare a vincere la battaglia sbagliata». Perché la vita è fatta della stessa materia di cui sono fatti i libri e tante pagine di libri più o meno noti ce lo dimostrano: «senza pretese, con un tratto scanzonato e insieme appassionato, allestiscono uno scaffale ideale a cui ognuno potrà attingere le proprie ispirazioni». Nei libri ci sono i desideri, le speranze e i timori di chi ci ha preceduto, e ci sono i nostri. E la molteplicità «di pensiero contenuta nei libri è il migliore antidoto contro le false certezze, le manipolazioni, contro chiunque voglia farci credere che le cose possono andare solo in un certo modo, perché ha interesse a spingerci in una determinata direzione».
La lettura del libro di Floris mi ha rammentato le parole di un grande pensatore eclettico come Stefan Zweig – che amo molto – che definiva la cultura come il vero antidoto alla barbarie. Zweig, austriaco, è stato tante cose: drammaturgo, giornalista, biografo, storico e poeta. Nel suo saggio, significativo fin dal titolo, Il libro come accesso al mondo, scriveva: «Il libro ha il potere di dilatare l’anima e costruire mondi nella nostra vita interiore». Si tratta di «apprezzare il miracolo che si rinnova ogni volta che ne apriamo uno». Il saggio, del 1931, lungi dall’essere uno scritto superato, è di sorprendente attualità e parla al nostro presente. Scriveva: «il libro non ha nulla da temere dalla tecnologia: giacché essa stessa non impara forse e non si perfeziona attraverso i libri? Ovunque, non soltanto nelle nostre vite individuali, il libro è l’alfa e l’omega di ogni sapere e l’inizio di ogni scienza. E quanto più si vive in intimità con i libri, tanto più profondamente si sperimenta la totalità della vita, perché colui che ama i libri, grazie al loro aiuto, vede e comprende il mondo in modo miracolosamente potenziato, non solo con i propri occhi, ma con lo sguardo di innumerevoli anime». Ho voluto riportare questa lunga citazione per confermare l’intuizione di Floris che spinge all’“elogio del libro”.
La globalizzazione sembra poter fare a meno della Cultura, come ha ravvisato anche Floris. Olivier Roy parla di deculturazione e di «santa ignoranza», come rifiuto della cultura, della storia, della memoria da parte di società e religioni emotive o fondamentaliste. Ma l’ignoranza non è soltanto assenza di una cultura: significa, alla fine, subire modelli culturali e antropologici proposti dallo “spirito del tempo”. A Bronisław Geremek, grande storico e figura morale, si deve una delle più belle definizioni della storia: «La storia è un misto di scienza e di poesia». Non c’è vera storia senza l’una
o l’altra. E la poesia permette a chi legge di appassionarsi alla storia, con i suoi personaggi, i suoi autori, le sue opere letterarie. In questo senso, allora, il suggerimento che si trae dal volume di Floris
è giusto: la lettura è vitale. E un pregio di questo volume è proprio quello di proporre punti di riferimento culturali – pur senza la pretesa di essere esaustivi – per leggere le vicende del mondo.
Una vita senza letture, senza libri sarebbe – diciamocelo – meno consapevole: una persona che non legge libri non ha uno spiccato spirito critico, è priva di quella capacità analitica e speculativa che
consente di andare al di là delle apparenze; anche se prova dei sentimenti, non è in grado di prevederne lo sviluppo o di gestirli adeguatamente perché non può riconoscersi nei personaggi dei libri che hanno vissuto le stesse esperienze emotive. Senza letteratura spesso non si possiedono le parole che dicono la paura, la fragilità, la differenza, la tristezza. In altri termini, si è privi della capacità di nominare le cose, mancano le emozioni e, conseguentemente, il controllo sulla realtà e su sé stessi. Senza la letteratura, il mondo sarebbe – scrive il premio Nobel Vargas Llosa – «incivile, barbaro, orfano di sensibilità e stentato di parola, ignorante e greve, negato per la passione».
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