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La centralità del Mediterraneo: crocevia di civiltà, conflitti e geopolitica globale

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di Antonio Salvati

Fin dai primi anni di scuola abbiamo appreso quanto il Mar Mediterraneo, noto anche come il “mare di mezzo” (dal latino mediterraneus, cioè “in mezzo alle terre”), sia stato un crocevia di genti, culture, lingue e religioni diverse. Nel Mediterraneo sono sorte importanti civiltà. L’ebraismo e il cristianesimo prendono le mosse dal Mediterraneo. L’umanesimo nasce nel Mediterraneo ed è nel Mediterraneo che deve tornare a fiorire, ha affermato lo storico Adriano Roccucci. Occorre ritornare alla dimensione plurale del Mediterraneo, così come è stata ricostruita e analizzata da grandi studiosi quali Fernand Braudel, Andrea Riccardi, Predrag Matvejevic, Franco Cassano e molti altri. Il nazionalismo novecentesco ha cercato di ridurre la policromia mediterranea nell’impegno per costruire nuovi Stati omogenei. Il risultato è stato non di eliminare le diversità, ma di separarle e contrapporle. Senza dubbio, oggi il Mediterraneo vive un “cambiamento d’epoca” che investe entrambe le rive del Mediterraneo e che trova espressione nel fenomeno delle migrazioni, a loro volta conseguenza di crisi drammatiche, prima fra tutte la guerra in Siria.

Nel corso della sua ultramillenaria storia è stato luogo di incontro e di scontro, di scambi e di battaglie, di viaggi reali ed epici, che ha condizionato per secoli genti, città e imperi. Specie quelli nati sulle sponde della nostra Penisola, piazzata in strategica posizione geografica, giusto a metà fra l’Oriente e l’Occidente. Un mare a cui siamo molto legati che – direbbe Lucio Caracciolo – conosciamo così poco. Per meglio comprendere la centralità del Mediterraneo, divenuto de facto il cuore strategico del Pianeta, lo scacchiere su cui convergono gli interessi geopolitici delle superpotenze mondiali, ci aiuta Maurizio Molinari con il suo ultimo volume Mediterraneo conteso. Perché l’Occidente e i suoi rivali ne hanno bisogno, (Rizzoli 2023, pp. 320, € 22,00).

Il Mediterraneo non ha perso il suo carattere peculiare di ambito di relazioni e interazioni, anche conflittuali, come ebbe a sottolineare papa Francesco a Napoli nel giugno del 2019: «Se noi non capiamo il meticciato, non capiremo mai il Mediterraneo, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione». Fernand Braudel in un noto volume, Il Mediterraneo: lo spazio la storia gli uomini le tradizioni (Bompiani 2008) scrisse che il Mediterraneo è «mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre, insomma, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere». Braudel poneva molta importanza alle dimensioni geografiche nello studio della storia. Bisogna ritornare – sostiene Mauro Varotto – ad educare ad una conoscenza e a un’intelligenza spaziale che ci consenta di avere la capacità di cogliere la complessità dei fenomeni che ci circondano. Molti docenti universitari lamentano l’analfabetismo geografico diffuso che contraddistingue buona parte degli studenti italiani. Ne è convinto Molinari. Di fronte alla storia che procede velocemente «per riuscire a comprenderla dobbiamo riscoprire la geografia. È stata, questa, una scienza congelata durante la Guerra Fredda, perché il confine tra gli Stati non si muoveva, era definito. Adesso solo una conoscenza approfondita della geografia mondiale ci consente di comprendere la complessità degli eventi».

Da tempo Caracciolo afferma che tutte le potenze che si affacciano sul mediterraneo accampano rivendicazioni territoriali. Territoriali perché il mare viene ormai trattato come se fosse terra. È fisicamente mare, ma geopoliticamente terra. Molinari, con l’ausilio di utili mappe geografiche, delinea gli scenari geopolitici futuri che interesseranno il Mediterraneo e non solo, tenendo in considerazione le problematiche che più di altre sono destinate a caratterizzare il nostro futuro: il terrorismo, i cambiamenti climatici e la desertificazione, le risorse energetiche, la demografia, le libertà individuali e politiche, i flussi migratori. Tutto si incrocia e passa tra le acque del Mediterraneo. Infatti, il Mediterraneo è uno spazio molto incandescente da cui nessuno è lasciato fuori. Il Mediterraneo ha tre punti di accesso: Gibilterra, Suez e i Dardanelli. Chi li controlla «ha le mani su una delle maggiori rotte del commercio planetario senza il quale nessuna potenza, reale o velleitaria, può perseguire i propri interessi». È la storia delle potenze, del passato come del presente, «che si specchia in questo mare, dove ogni tratto di costa, ogni isola, ogni passaggio può fare la differenza per definire equilibri assai più vasti». La recente scoperta di ingenti giacimenti di gas naturale nelle acque orientali – contese fra Turchia, Cipro, Grecia, Israele e Libano – aumenta la rivalità fra i Paesi rivieraschi, «così come il transito delle rotte dei migranti dall’Africa all’Europa e le basi dei gruppi jihadisti dal Sahel al Corno d’Africa disegnano i contorni di una polveriera dalle dinamiche imprevedibili».

Stati Uniti, Russia e Cina, seppur portatrici di interessi diversi, sono tutte accomunate dalla convinzione che prevalere nel «mare di mezzo» significhi – spiega Molinari – ipotecare l’influenza strategica su uno spazio che va dalla Manica al Golfo di Guinea, dal Bosforo allo Stretto di Bab el-Mandeb, dallo Stretto di Hormuz al mar Caspio. Il controllo delle acque, pertanto, «conta quanto e più della conquista delle terre emerse». Lo insegna la Storia antica, come quella recente: «fu la sconfitta di Cartagine a trasformare Roma in un impero, furono le repubbliche marinare ad assegnare alle città italiane un ruolo chiave nel Medioevo, fu la sconfitta di Lepanto ad arginare la marcia verso l’Europa dell’impero ottomano». Per non parlare del corpo dei «Marines, nato sbarcando sulle spiagge di Tripoli, del viaggio di Exodus con a bordo i sopravvissuti della Shoà protagonisti della nascita di Israele, della crisi di Suez che cambiò il corso della sfida Usa-Urss e della Nato che ha perseguito con forza e costanza il controllo delle acque grazie all’integrazione delle unità Usa con quelle di Spagna, Francia, Grecia e Italia». Non a caso, Putin considera il Mar Nero l’accesso privilegiato a un Mediterraneo dove vuole far recitare alla Russia un ruolo da protagonista; questo scenario ci aiuta a capire l’invasione dell’Ucraina insieme alla strategia del Cremlino di incalzare il fronte sud della Nato.

Tra i tanti temi sociopolitici trattati connessi al Mediterraneo, assai degno di nota è quello dei cavi sottomarini. Vengono usati sin dalla metà dell’Ottocento «ma non hanno mai avuto l’attuale importanza per le comunicazioni globali, a causa dello sviluppo dell’alta tecnologia che consente oggi di trasmettere fino a 400 gb di dati al secondo – l’equivalente di 375 milioni di telefonate – grazie a cavi di fibra capaci di trasmettere dati a 180.000 chilometri al secondo. Quelli che attraversano il Mediterraneo hanno un’importanza a livello globale perché forniscono una connessione essenziale per il flusso di dati tra l’Europa, l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia. Il loro controllo ha a che fare «con una nuova dimensione della sicurezza figlia della Rivoluzione digitale: quella dei dati. I cavi sono fondamentali per il trasferimento di informazioni, comunicazioni telefoniche, transazioni finanziarie, traffico internet e servizi online tra queste regioni. La connettività affidabile e ad alta velocità offerta dai cavi sottomarini è vitale per l’economia digitale. I cavi sottomarini nel Mediterraneo consentono la comunicazione diretta tra Paesi che altrimenti dipenderebbero da rotte terrestri o satellitari più complesse e costose. Aiutano la cooperazione economica, politica e culturale tra le nazioni. Giocano un ruolo per la sicurezza nazionale: i cavi sottomarini nel Mediterraneo rappresentano un’importante infrastruttura critica, soprattutto per gli alleati della Nato in quanto il flusso di informazioni attraverso i cavi è vitale per le operazioni militari, l’intelligence, la difesa nazionale. La salvaguardia del funzionamento di questi cavi è quindi una priorità irrinunciabile per molti Stati e organizzazioni internazionali.

Insomma, una guida preziosa per la comprensione di quanto accade oggi nel mondo.

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