di Agostino Forgione
Che il nostro sia un paese afflitto da una profonda frattura tra i giovani e il resto della popolazione non è una novità. Almeno stando a certe narrazioni. Sotto certi versi, in effetti, è qualcosa di fisiologico alla natura umana. Che i ragazzi abbiano un modo di pensare e un universo valoriale tutto loro, spesso in opposizione a quello degli “adulti”, non è dunque qualcosa di cui meravigliarsi. Lo diceva anche Socrate: “La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori”. Parole che sembrano scritte oggi, nonostante la società mutata con una rapidità sconvolgente.
Le recenti elezioni europee, tuttavia, smentiscono luoghi comuni sul rapporto che i giovani hanno con la politica, offrendo un inedito spunto di riflessione. La possibilità dei fuorisede di votare nella propria città di studio permette di metter sotto i riflettori il comportamento elettorale di tali giovani, isolandolo il loro voto dal voto del resto della popolazione. Non più, dunque, sondaggi circa quali partiti preferiscono gli universitari, bensì l’incontrovertibile dato delle effettive preferenze espresse. Personalmente avrei scommesso a priori su ciò che poi è concretamente avvenuto: gli studenti hanno ideali politici in parte antitetici rispetto ai loro genitori.
Un rovesciamento quasi speculare che porta il partito di governo a passare dal quasi 29% di preferenze nel complesso al 3,37%. In pratica, fosse stato per gli studenti, Fratelli d’Italia non avrebbe neppure superato la soglia di sbarramento. Verdi-Sinistra avrebbe invece vissuto un inverosimile e glorioso sogno: quello di ottenere quasi un voto ogni due. Nel complesso, insomma, gli universitari italiani hanno sperato in un europarlamento non speculare rispetto a quello effettivo, bensì completamente privo di seggi destinati ai partiti di destra. Nessuno di quest’ultimi, infatti, ha superato il 4%.
Al netto di ogni frivolo, volgare e inconcludente atteggiamento di saccenteria, per cui si potrebbe dire che la fetta più istruita della popolazione abbia incontrovertibilmente preferito i partiti di sinistra, quanto di più saggio sarebbe riflettere criticamente sul perché di ciò. È una domanda che dovrebbe porsi sia la destra ma soprattutto la sinistra, chiedendosi il perché di uno scollamento quasi iperbolico. Se infatti aver raccolto la quasi totalità delle preferenze degli universitari costituisce per la sinistra innegabile motivo d’orgoglio, non si può dire altrettanto su perché la classe lavoratrice abbia invece scelto contrariamente. E allo stesso modo anche la Meloni dovrebbe chiedersi perché è tanto repulsa da giovani e studenti.
In sunto, dunque, i dati che ci siamo trovati davanti richiedono una profonda meditazione che di certo non può esaurirsi in quest’articolo. Entrambi gli schieramenti parlamentari, tuttavia, farebbero bene a sedersi a tavolino interrogandosi su come contestualizzare tali numeri. Governare un paese così profondamente spaccato non giova assolutamente a nessuno.
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