Un’espressione latina che ha attraversato i millenni è riemersa dalle ceneri di Pompei, gettando nuova luce sulla vita dell’antica città romana. “Hic et ubique” – “qui e ovunque” – un augurio di prosperità che risuona ancora oggi, è stato scoperto tra i graffiti recentemente portati alla luce nella Regio IX, insula 10.
Il team di archeologi, impegnato in un vasto progetto di conservazione e miglioramento idrogeologico del sito, ha concentrato la sua attenzione su un’area denominata “salone nero” e sugli ambienti circostanti. Proprio qui le pareti hanno rivelato un tesoro di iscrizioni, vere e proprie impronte della vita che un tempo animava questi spazi.
Tra i numerosi nomi incisi e dipinti spiccano quelli di Pudens, Vesbinus e Valerius, ciascuno lasciato con uno stile distintivo. Un saluto sembra essere stato indirizzato a un certo Silvanus, mentre rimane il mistero su un nome parziale che potrebbe appartenere a Modestus o Modesta.
Ma è l’augurio “hic et ubique” a catturare l’attenzione degli studiosi. Questa formula, raramente trovata al di fuori di Pompei, ha attraversato i secoli fino a essere immortalata da Shakespeare nell’Amleto, dove il protagonista la usa per rivolgersi allo spettro del padre.
L’analisi di questi graffiti, condotta dalla professoressa Maria Chiara Scappaticcio dell’Università Federico II di Napoli e dal direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, offre uno sguardo intimo sulla vita degli antichi pompeiani. Le loro scoperte, pubblicate sull’E-Journal degli scavi, sottolineano il ruolo cruciale di Pompei come ponte tra il mondo antico e quello moderno.
Queste nuove rivelazioni non solo arricchiscono la nostra comprensione della vita quotidiana a Pompei, ma evidenziano anche la continuità culturale che lega l’antichità classica alla letteratura rinascimentale e oltre, dimostrando come le parole possano sopravvivere al tempo e alle catastrofi, portando con sé frammenti di umanità attraverso i secoli.
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