di Alessia de Antoniis
È giunta al termine la seconda edizione del Tropea Film Festival, ideato e diretto da Emanuele Bertucci, che ha portato a Tropea ospiti di rilievo internazionale come Matt Dillon, Matteo Garrone, Marcello Fonte e Ascanio Celestini. A fare gli onori di casa, la madrina Madalina Ghenea. A presiedere la giuria il regista Mimmo Calopresti.
Già membro della giuria del Festival di Cannes e della Mostra Internazionale del cinema di Venezia, Calopresti è stato per tutta la settimana il fulcro della compagnia di addetti ai lavori e semplici spettatori che si è formata nella meravigliosa cornice di Tropea.
Ci sono stati anni in cui andare al cinema era un atto politico, quando c’era il cinema militante. Oggi tornare in sala che senso ha, visto che molti film sono fatti per le piattaforme?
La sala è sempre il luogo d’eccellenza per vedere un film. Magari diventerà un posto per aristocratici, chissà… I film si possono vedere dappertutto, questo è importante: sulle piattaforme, sul telefonino. Non importa. Ma sicuramente la sala è il posto più importante per vedere un film. Siamo in un periodo di crisi, ma poi se ne uscirà, come sempre. Io dico che il cinema salva il cinema, nel senso che saranno sempre i film a salvare i film. Bisogna accettare questo momento di cambiamento e capire quello che succederà, senza tante paure.
Lo scorso anno al festival del cinema italo-serbo a Belgrado ho visto Romanzo radicale, un modo per far arrivare ai giovani una persona che altrimenti non conoscerebbero mai. Eppure oggi quel film rischierebbe di non essere fatto…
Perché è cambiato tutto. Però ci rimane l’anima forte di Marco Pannella, il suo modo di stare al mondo. Questo dimostra che è possibile riprovarci, è possibile farlo essendo in pochi, è possibile ritrovarsi da soli. Ma è possibile. Quindi sono abbastanza ottimista. Si passano dei periodi di oscurantismo, poi se ne esce.
Ti capita mai di sentirti un po’ un bandito con una telecamera che lotta per i suoi ideali?
Sì, delle volte mi piace. Non sempre, perché il cinema ha tante sfaccettature. Ma a volte mi piace quest’idea di entrare nel mondo attraverso un’arma, che è la telecamera, e combattere, come i banditi che combattevano per dei diritti importanti. Mettere i piedi per terra ed entrare in azione, entrare in una guerra un po’ più pacifica di quelle che viviamo in questo momento.
Pensando al film Aspromonte – La terra degli ultimi o al docufilm Cutro, Calabria, Italia quanto è importante in questo momento il cinema indipendente? E come si fa ora, finanziariamente, a realizzarlo?
Chi lo sa? La situazione è grave: vogliono toglierlo. La legge su tax credit non è chiara e la situazione complicata. Ma c’è sempre l’individuo, l’artista, la persona che per i fatti suoi va avanti e fa le sue cose, in qualunque modo. A volte con pochi soldi, a volte con tanti, delle volte con una comunicazione bassa, delle volte con una comunicazione alta. È importante salvaguardare l’umanità. È quella che vincerà prima o poi. Questa è una fase molto complicata, però ne usciremo, perché alla fine ne usciranno gli esseri umani, con le loro idee, con il loro modo di essere, con il loro modo di stare al mondo, con la loro storia.
Il cinema italiano ha una storia così importante, che non puoi farne a meno. Anzi, a volte ne veniamo soffocati. Da uno come Fellini che ha raccontato tutto il Novecento: quasi ti porta via la possibilità di raccontare. Ma la storia del cinema italiano è importante perché rappresenta anche un riferimento a cui guardare. E va studiato, perché il cinema è difficile da fare: devi capire i momenti, i luoghi.
Un film, per avere successo, deve creare un allineamento di pianeti enorme. Magari arrivi in un momento in cui tutti pensano a un’altra storia, e la tua diventa l’attuale tra dieci anni. È il mistero della vita, è il mistero del cinema, è il mistero del racconto. La bellezza del cinema è che racconta sempre un grande mistero, che è la vita degli esseri umani, la loro storia, il loro modo di stare nel mondo. Non è che siamo dio, che abbiamo capito la situazione. Quindi stiamo lì a cercare di sopravvivere in questi momenti e di raccontare, che è il nostro obiettivo finale: raccontare, raccontare, raccontare.
Oggi c’è il digitale, prima c’era la pellicola, poi chissà. Magari faremo i film su TikTok, non so cosa succederà. Nella sala c’è un’immersione totale. Entri e anche tu sei parte del film. Vedo tanti nuovi ragazzi che fanno cinema, lo fanno in maniera nuova…
Ma glielo diamo spazio?
No. Io sono stato fortunato, grazie a Moretti che mi ha fatto entrare nel cinema da una strada importante. Bisogna trovare un modo per entrare in maniera importante.
Troppi film sono fatti male, a basso costo, senza produttori. Un ragazzo giovane che comincia deve avere anche un produttore. Soprattutto deve essere affiancato da qualcuno che ne sa più di lui. Marcello Fonte l’altra sera diceva che è stato fortunato perché ha incontrato dei maestri. Ma è sempre più difficile, perché in questi anni sono stati fatti tanti film che servivano solo a prendere finanziamenti. Esordivano ragazzi, attori, non si capiva più niente. E ora questo sistema sbagliato viene usato contro il cinema per ridurre il tax credit e gli investimenti. Il cinema rappresenta un grande indotto, non solo di soldi, perché dentro il cinema c’è l’arte, c’è l’industria, c’è anche il business.
Da maestro del cinema, che allievi hai formato?
Tante persone che hanno lavorato con me, poi hanno continuato. Penso a Valeria Bruni Tedeschi e altri. Molti sono diventati registi. Chi viene a lavorare con me pensa che vuole imparare il cinema, il grande cinema. Ecco, quella è la cosa più importante di tutte, pensare che stai facendo qualcosa di eccezionale. È il tipo di motivazione che ti spinge a fare cinema che fa la differenza. Tutti vogliono fare gli attori, tutti vogliono fare le grandi cose, poi magari si ritrovano a fare stupidate.
Cosa ti arriva dalle scuole?
Non credo nelle scuole, non credo neanche nelle scuole che ho fatto io, non credo a niente. Siamo pieni di scuole di cinema che non valgono niente, però sono un’occasione per entrare in quel mondo, grande o piccolo che sia. Quello che conta è la tua forza, la tua capacità, il tuo bisogno di fare quel mestiere lì: è quello che ti guida.
Ti mancano le sceneggiature?
Un po’. Non mancano le storie: ce ne sono molte raccontate sui social. E te ne ritrovi tante “rimasticate”. Quello che manca è se hai una visione per trasformarle in storie da cinema.
Il cinema è un grande mondo, una grande famiglia, dove puoi muoverti, incontrare personaggi importanti. Qui a Tropea cammini per strada e incontri Matt Dillon che potrebbe diventare il protagonista di un tuo film. Il problema è che quel mondo, piano piano, si riduce sempre di più, diventa sempre meno interessante… Dobbiamo tornare a essere molto protagonisti della società.
Ora cosa racconteresti?
Non so, mi piacerebbe raccontare questa società trasformata: le profonde trasformazioni sulle questioni sessuali, l’aumento del razzismo.
Per esempio, gli LGBT aumentano, eppure hanno contro tutta la società che non li vuole vedere. La battaglia sui diritti sta diventando più importante di dieci anni fa, di vent’anni fa, di trent’anni fa. Non c’è la libertà degli anni Settanta.
Nessuno di noi si faceva domande su Boy George…
Non ce ne fregava niente. Adesso sì. Adesso è terrificante… Però sono tantissimi i Boy George, capito che ti voglio dire? La società sta avanzando in una direzione diversa, quindi è chiaro che ci sarà lo scontro con quelli che invece vogliono che nulla cambi. Magari alla fine vinceranno loro. Se loro si impongono e noi continuiamo a non far nulla… Il problema dei diritti è importante, è fondamentale che tutti noi collaboriamo a creare diritti per tutti. Anche per tutti gli stranieri che vivono in Italia.
Al Magna Graecia 2024 hai presentato il documentario sulla tragedia di Cutro…
Non mi interessava capire di chi fosse la colpa, perché è successo. Mi interessa capire una cosa che non si capisce mai: chi c’era su quel barcone. E se vedi le loro storie, non puoi affrontarle genericamente. Come “gente che viene”, che arriva da boh…
Una ragazza di 19 anni che era su quel barcone lì, aveva speso 5000 euro per prendere un barcone che l’ha portata alla morte, che se prendeva un volo spendeva meno e non moriva. Arrivava dall’Afghanistan. Scappava perché non poteva continuare a studiare. Voleva fare l’ingegnere, ma le donne in Afghanistan non possono… Se sai la storia di queste persone, forse ti comporti in maniera diversa. Li vai a salvare prima, trovi un modo per farli entrare in Europa, un modo di organizzarli. Chi va via dal proprio Paese è perché vive una situazione incredibile, fuggono da posti dove non c’è più acqua per il cambiamento climatico. È importante capire il mondo, le persone, e il cinema ha un grande potere: può raccontare le storie di tutti. Se cominciamo a capire le storie delle persone che arrivano su quei barconi, forse il nostro modo di pensare cambia. Se hai una storia da raccontare, il modo di farlo lo trovi.
E di distribuirla?
Distribuirla è un problema. A questo servono i festival. E poi c’è internet. Se tu combatti per le tue idee, vinci. Il problema ora è l’autocensura. Non c’è più la libertà di espressione… Però, per esempio, se parlavi con Monicelli, ti diceva “sai, c’è la censura”. E allora ci inventavamo storie raccontate in modo da aggirala. Ma la aggiravi perché era chiara.
I festival piccoli, come il Tropea Film Festival di Emanauele Bertucci, sono una grande opportunità per portare cinema ovunque, per gli studenti che riescono a parlare con chi il cinema lo fa. Guarda Matt Dillon: lo fermano per strada e parla con diplomati alla scuola di cinema. Ecco perché bisogna creare situazioni simili.
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