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La memoria dell’acqua

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di Rock Reynolds

Non conoscevo Elif Shafak quando, qualche anno fa, la vidi parlare di fronte a un nutrito pubblico al Festivaletteratura di Mantova. Scoprii che, turca di origine, da parecchio tempo si era trasferita a vivere a Londra per sfuggire alle attenzioni asfissianti – in realtà una vera e propria persecuzione politica di impronta fondamentalista – di cui era fatta oggetto in patria. Il suo stile di vita considerato indecente (per via della sua dichiarata bisessualità) e i temi da lei trattati (di certo non particolarmente amati dall’ortodossia islamista e dal governo di Erdogan) l’avevano resa persona non grata, spingendola all’autoesilio. Il garbo nell’accettare di essere messa in ombra da quella che avrebbe dovuto essere la sua semplice presentatrice mi spinse ad approfondire il discorso. Così, lessi L’isola degli alberi scomparsi, restando affascinato dalla delicatezza intrinseca nell’affrontare le tematiche dell’amore proibito tra due uomini e dell’odio politico-religioso, sullo scomodo fondale del mai del tutto sopito conflitto tra turchi e greci per il controllo di Cipro.

Oggi, la Shafak torna ad ammaliarci con uno splendido romanzo, il torrenziale – è proprio il caso di dirlo – I ricordi dell’acqua (Rizzoli, traduzione di Daniele A. Gewurz e Isabella Zani, pagg 543, euro 20), che si dipana a sbalzi tra la Mesopotamia di Assurbanipal, la città di Londra in piena Rivoluzione Industriale, l’odierno Kurdistan e la capitale britannica contemporanea.

Protagonista, si potrebbe dire, è una banale goccia d’acqua, che apre il romanzo a Ninive, in riva al Tigri, con queste parole: «Dopo, passata la tempesta, tutti parleranno della devastazione che si è lasciata alle spalle ma nessuno, neppure il re, si ricorderà che è cominciata con un’unica goccia di pioggia».

Sembra quasi che il carico di colpe di biblica creazione che gli esseri umani si portano appresso dalla notte dei tempi si sia concentrato particolarmente nell’area mesopotamica e mediorientale.

C’è un paese, l’Iran, che vorrebbe obliterare lo Stato di Israele che, a sua volta, non sarebbe particolarmente dispiaciuto se il suo Dio cancellasse dalla carta tutte le nazioni vicine. C’è un popolo, quello armeno, che rivendica di essere stato oggetto del primo genocidio del XX secolo, un annientamento etnico negato dalla Turchia, suo carnefice, e non del tutto ammesso neppure da Israele stesso che sostanzialmente inibisce chiunque dall’utilizzazione del termine Olocausto di cui pretende l’imprimatur unico e assoluto. E poi ci sono almeno due popoli senza terra, a cui non viene talvolta nemmeno riconosciuto lo status di popolo vero e proprio, quello palestinese e quello curdo. C’è pure un altro paese che ha per secoli nutrito l’illusione di essere un impero invincibile: la Gran Bretagna. E c’è anche uno stato non-stato, quel Daesh – Isis, come lo chiamano gli occidentali – che tanta inquietudine e tanto raccapriccio ha creato nell’Occidente e tanti lutti ha mietuto specialmente tra Siria e Iraq, con l’ambizione di estendere il califfato a macchia d’olio.

Ma, ne I ricordi dell’acqua, c’è soprattutto un ragazzo di umilissimi natali che dispone di un’intelligenza non comune e che è folgorato dalla storia di una città leggendaria, Ninive, caduta in disgrazia con le sue bellezze ma non certo cancellata dalla memoria dei discendenti dei suoi abitanti. È poco più che un bambino quando giunge al cospetto di due soci di una casa editrice in grande crescita e, dopo essere stato messo alla prova, dimostra una capacità davvero straordinaria di memorizzare le cose, una fantasia che nemmeno la sua grande sete di sapere riesce a soddisfare e una rara disponibilità al sacrificio. Imparerà a decifrare migliaia di tavolette di argilla con la scrittura cuneiforme degli assiri ospitate presso il British Museum e porterà alla luce l’epopea di Gilgamesh, uno dei primi poemi della storia. Quella in cui si muove è la grande Londra dickensiana e, non a caso, proprio Charles Dickens incrocerà il suo cammino, dimostrando quanto la sua lezione di straordinario narratore sia stata perfettamente introiettata da Elif Shafak. I capitoli ambientati intorno alla metà dell’Ottocento sembrano usciti direttamente dalle pagine di Oliver Twist o Nicholas Nickleby. E non in senso spregiativo. Al contrario.

C’è una giovane donna di origini mesopotamiche che, seguendo l’esempio del suo mentore, un professore caduto in disgrazia per via dei suoi eccentrici interessi scientifici, studia l’equilibrio idrografico di Londra e del suo Tamigi, nella speranza di confermare i presupposti della teoria del suo maestro, ovvero che l’acqua avrebbe una memoria. La sua vita è a un crocevia e a poco servono le raccomandazioni dei ricchi zii che le hanno fatto da genitori dopo la morte prematura di suo padre e di sua madre.

C’è pure una giovane donna che, in Kurdistan, pare destinata a perdere progressivamente l’udito e che lotta contro il tempo per acquisire quante più conoscenze possibili sul suo popolo, quello degli yazidi, spesso definiti “adoratori del diavolo”, attraverso le affascinanti storie della nonna divinatrice.

E ci sono il Tigri e il Tamigi, straordinari corsi d’acqua a cui sono indissolubilmente legate le sorti dei due popoli che vi si abbeverano. E pensare che il Tigri è un fiume che talvolta scompare tra le sabbie del deserto per poi riaffiorarne con incredibile forza e che il Tamigi è attualmente protagonista dell’ennesima rinascita, dopo essere stato sull’orlo della catastrofe ecologica più volte per via dei liquami in esso sversati dalla Londra catapultata nella Rivoluzione Industriale, cresciuta a dismisura e, in seguito, divenuta un’assoluta megalopoli della contemporaneità, ma oggi protagonista di una purificazione impensabile fino a qualche decennio fa, con la ricomparsa di una variegata fauna.

Non si lasci spaventare il lettore dalle quasi 550 pagine di questo romanzo. I ricordi dell’acqua è una lettura che scorre agevolmente, dopo un inizio che richiede un piccolo sforzo di acclimatamento in più. Elif Shafak non utilizza una chiave narrativa sperimentale ed emoziona con una storia che, nonostante i salti temporali e geografici, mantiene un filo unico e notevole suspense. Insomma, quando avrete questo libro tra le mani, vorrete scoprire come va a finire, una qualità non da poco nel marasma odierno di libri che, con la scusa di approfondire l’introspezione psicologica dei personaggi, finiscono per raccontare poco, se non nulla. I ricordi dell’acqua vi emozionerà, aprendo una finestra sul mondo mesopotamico, la culla di ogni civiltà moderna.

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