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Elle e il suo viaggio musicale globale che unisce Pop, Rock e Indie

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di Alessia de Antoniis

Lei è Elle, al secolo Laura Pizzicannella, cantautrice italiana che ha trasformato la musica nel suo viaggio interiore ed esplorativo, fondendo pop, rock e indie in un sound globale e ricco di emozioni. Partita da una piccola stanza alle porte di Roma, Elle ha portato la sua musica su palcoscenici in Europa, Asia e Australia, mescolando pop, rock e indie in uno stile musicale unico e senza confini. Con una voce potente e ricca di pathos, Elle riesce a trasmettere emozioni universali, trasformando ogni brano in un’esperienza musicale intensa e coinvolgente. A tre anni scopre Gianna Nannini. Da lì il suo viaggio alla scoperta delle sonorità più diverse che riflettevano la sua anima rock non si è più fermato.

“Se andiamo a quando ero molto piccola, la mia prima influenza italiana è stata Gianna Nannini. A tre anni ascoltavo le sue canzoni; quindi, se vogliamo, possiamo dare a lei la responsabilità di tutto ciò che è venuto dopo – scherza Laura parlando dei suoi primi passi nell’universo della musica – Poi, crescendo, ho ascoltato davvero di tutto. Non mi sono mai fermata su un unico genere; mi piace la bella musica e mi lascio ispirare da varie sonorità”.

Ma quali sono stati i primi artisti e generi musicali che ti hanno formata?

La mia prima cantante preferita, dall’adolescenza, è stata Anouk. Ho studiato tutto ciò che so fare grazie a lei. È stata una grandissima insegnante per me. Conoscevo a memoria tutte le sue canzoni, ogni respiro, ogni sfumatura. Anche l’inglese, l’ho imparato con la sua musica traducendo i testi.

Oggi cosa ascolti e quali sono le influenze che senti più forti?

Ultimamente mi ispirano molto le sonorità del nord Europa, artisti come Aurora o Eivør. Anche band inglesi come Florence and the Machine o i vecchi Coldplay mi influenzano molto. Ascolto un po’ di tutto.

Hai viaggiato molto. In che modo questi viaggi hanno influenzato la tua musica?

Sì, ho viaggiato molto e ogni esperienza vissuta si riflette profondamente nella mia musica, arricchendo il mio sound con influenze internazionali. Tuttavia, è difficile sintetizzare queste esperienze e renderle rilevanti per un mercato come quello italiano, che oggi è più chiuso che in passato. Purtroppo, qui in Italia c’è poca apertura mentale in campo musicale e un artista è spesso costretto a conformarsi a determinati generi e tematiche per essere accettato dall’industria discografica. È triste perché la musica, alla fine, è emozione, e il conformismo porta a un “impacchettamento” anche sul piano emotivo.

Quando hai sentito di aver trovato la tua identità musicale, la tua firma artistica?

Con il progetto This is Elle, ho finalmente trovato la mia vera voce artistica. Questo progetto rappresenta la mia autenticità al 100%, permettendomi di esprimere me stessa senza compromessi. Anche il nome stesso riflette questo: This is Elle, io sono Elle. Questo progetto rappresenta tutto ciò che sono, a livello personale e spirituale. Dopo tanti anni e tanti progetti, posso dire che adesso sto facendo la mia musica.

Come riesci a mantenere l’autenticità artistica in un mondo dominato da produzioni mainstream?

Non è facile, soprattutto in Italia, dove il mercato sembra voler imporre delle regole rigide. Ci si trova costretti a cambiare se stessi per adattarsi, ma io ho sempre cercato di resistere a questa tentazione. Preferisco fare musica che sento mia, anche se ciò significa uscire dai canoni imposti. L’autenticità per me è fondamentale.

Nel 2014 hai co-fondato tua band, gli Elborn, che rapporto hai con la dimensione di gruppo?

Con gli Elborn abbiamo attraversato tante difficoltà, come capita spesso nelle band. Trovare un equilibrio tra le personalità è difficile, ma finalmente ci siamo riusciti e adesso abbiamo una formazione stabile. Non c’è un leader assoluto, anche se io ho una personalità forte, sono sempre aperta ai consigli. Negli anni ho imparato a fare squadra, e penso che i viaggi mi abbiano aiutato molto a sviluppare questa mentalità. Fare squadra è fondamentale: da soli siamo niente, nulli.

C’è una canzone che per te rappresenta una sorta di “coperta di Linus”, che ti ha sempre accompagnato?

High Hopes dei Pink Floyd: è stata la mia colonna sonora per anni. David Gilmour dal vivo, la scorsa settimana a Roma al Circo Massino, è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita. Ho pianto: è stato un concerto indimenticabile. E il mio progetto This is Elle si apre proprio con una cover di High Hopes. Questa canzone mi ha sempre ispirata, soprattutto nei momenti bui.

Ho visto i Pink Floyd al Flaminio di Roma nel 1989, ma ho perso Gilmour. Un dolore…

Hai visto i veri Pink Floyd!  Pensa che io e il mio compagno, Matteo Petacca, mio co autore, arrangiatore, Videomaker per i video delle mie canzoni, lo abbiamo incontrato a Londra. Erano le tre del pomeriggio del 21 febbraio di due anni fa, stavamo passeggiando a Portobello Road, e ci siamo trovati di fronte proprio lui, David Gilmour! È stato un incontro brevissimo, non sono riuscita nemmeno a dirgli una parola, ma è stato un momento indimenticabile. Stavo attraversando e vedo lui che ci viene incontro. Mi passa davanti, mi guarda e va via. Ero pietrificata. Poi io e Matteo siamo andati in un pub, abbiamo bevuto Guinness e pianto per due ore per l’emozione.

Una colonna sonora speciale?

Nel il film I sogni segreti di Walter Mitty, con Ben Stiller. Sembra un film stupido, una commediola, invece sotto c’è un significato incredibile. C’è un brano di José González, si chiama Step Out. Da un paio d’anni, quando ho il momento down, io metto quel pezzo e ripenso al film. Parla di darsi sempre una chance, di non demordere mai, a prescindere da tutto, dall’età, dalle circostanze, da quello che ci succede intorno. Dobbiamo sempre continuare a tentare, perché alla fine, se tu veramente vuoi una cosa, l’universo te la dà.

Un tuo brano dove racconti un momento cruciale della tua vita?

Our Sound. L’ho scritto insieme a Matteo per il nostro produttore, che purtroppo è venuto a mancare. Lui credeva moltissimo in me e, poco prima che morisse, gli abbiamo fatto ascoltare questa canzone. È stato uno dei momenti più intensi della mia vita. Scrivo solo pezzi che sento davvero, non riesco a fare “canzonette”. Questo a volte è considerato un ostacolo nel mondo della discografia odierna, ma per me è una caratteristica irrinunciabile.

Stamattina ascoltavo You’ve Got a Friend di Carole King. Lei non vedeva nell’essere donna né un pregio né un ostacolo. Lei diceva: ho sempre pensato di essere ben accetta o respinta, semplicemente per quello che facevo. Come musicista donna trovi delle differenze di trattamento?

Anche semplicemente quando vuoi far valere i tuoi diritti. Se sei donna, hai meno possibilità di riuscire a farti valere. Se sei uomo, si apre subito la porticina, non so perché, magari la stazza più grande…

Oppure, quando una donna alza la voce, viene presa come una pazza che strilla, quando lo fa un uomo è diverso. In alcune situazioni chiedo aiuto a Matteo. Gli dico: senti, questa sbrigatela tu, perché sei uomo e ti danno più ascolto.  Io ho una personalità molto forte, mi impongo e dico la mia senza problemi e mi arrabbio anche. Ma se mi arrabbio io è diverso, perché vengo presa come la solita isterica col ciclo. Non rispondono sull’argomento, attaccano me.

Qual è il tema principale del tuo prossimo EP?

Il mio prossimo EP, che uscirà nella prima metà del 2025, si concentra sul ciclo della vita. Ci sono cinque brani che rappresentano diversi aspetti: la vita, la magia, l’amore, la morte. Parla delle illusioni che la società ci impone, come il successo e la fama, e di come queste influenzino la nostra esistenza. La canzone Gold, ad esempio, affronta proprio il tema di questo veleno che ci viene imposto. È un EP molto personale e profondo.

C’è qualcosa che non riusciresti a esprimere a parole ma che riesci a tradurre in musica?

Ogni canzone che scrivo porta con sé qualcosa di profondamente personale, che non riuscirei a esprimere in nessun altro modo. Per esempio, Life, uno dei brani del mio prossimo EP, inizia con un riferimento alla mia nascita e racconta molto di me. Quando canto, riesco a tirare fuori ciò che non riuscirei mai a dire a voce.

L’ultima che uscirà l’ho scritta pensando a Varanasi, in uno dei miei viaggi in India. Un posto meraviglioso, sul Gange, dove le persone vanno a morire, perché si dice che se tu muori a Varanasi il tuo ciclo di rinascite si interrompe e finalmente trovi là la luce, la beatitudine. Le mie canzoni sono anche un modo per parlare di spiritualità.

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